In pieno XIX secolo, durante le Guerre dell’Oppio e l’inizio del famigerato “secolo dell’umiliazione“, gli europei individuarono nell’inettitudine marittima cinese uno dei fattori più lampanti sul quale poter e dover far leva per avere la meglio, militarmente e logisticamente parlando. Nelle menti degli alti ufficiali britannici, giusto per fare un esempio, gli orientali altro non erano che una marmaglia contadina, succube della terra e mai ispirata da una vocazione marinaresca. Ciò non corrispondeva affatto alla realtà. Perché ci fu un tempo in cui la Cina dominò i mari circostanti, un’epoca che ebbe il suo culmine con l’esperienza di Zheng He. Raccontando la sua storia, voglio sottolineare l’imponenza della flotta imperiale cinese durante gli anni del Basso Medioevo.
Fin da tempi immemori la cultura sinica aveva viaggiato per mare, esportando alcuni suoi tratti distintivi attraverso il Mar Cinese Meridionale. L’esito più noto di questa influenza è il Giappone, che dal continente riprese e fece propri elementi quali la scrittura, la coltivazione del riso, religioni come il Confucianesimo e il Buddhismo, la progettazione urbanistica, ecc. Già poco dopo l’anno mille è attestabile un’egemonia marina cinese. Con navi di grosso carico, dotate di molteplici vele, bussole, compartimenti stagni e timoni fissi, essi potevano giocarsela con gli arabi per quel che riguardava il controllo delle principali rotte commerciali nell’Oceano Indiano.
Tutto questo durante la dinastia Song (960-1279). Le cose presero una piega diversa con l’arrivo dei Mongoli e la conseguente perdita delle aree settentrionali dell’impero. I Song si videro costretti a spostare la capitale a Hangzhou, sulle sponde del Fiume Azzurro. L’esperienza frutto di secoli di navigazione fluviale permisero alla dinastia di mettere in piedi una moderna flotta da guerra con la quale resistere – per quanto possibile, chiaramente – al travolgente esercito mongolo di Kublai Khan. Quando quest’ultimo poté finalmente fregiarsi del titolo imperiale, a partire dal 1279, diede un forte impulso alla cantieristica navale cinese. Dotatosi di migliaia di navi per scopi bellici, Kublai Khan attaccò tutte le principali potenze regionali (Giappone, Vietnam, Giava) pur non riportando chissà quali risultati in termini di conquiste. In ogni modo, suddetta politica navale garantì ai Mongoli un primato indiscutibile sulle acque che andavano dalle coste nipponiche al Sud-est Asiatico.
Come ben sappiamo, agli imperatori mongoli succedettero quelli della dinastia Ming (1368-1644). Il secondo imperatore Ming, ossia Yongle, rafforzò il già citato dominio marino (non solo militare, ma soprattutto commerciale, visto l’enorme giro d’affari). Gli anni del suo regno, che vanno dal 1402 al 1424, sono considerati dall’odierna storiografia sinica tra i più felici e prosperi dell’intera storia cinese. Non è difficile da credere. Appena salito sul trono, Yongle si rese protagonista di due grandi conquiste. Sotto di lui cadde il Vietnam e Malacca divenne uno stato cliente della Cina. Ed è con questo imperatore che posso finalmente introdurvi la figura centrale di tutta questa narrazione: Zheng He.
Per un più serrato controllo delle rotte commerciali nei mari del sud, l’imperatore ordinò il varo di una grandissima flotta agli ordini dell’eunuco reale, musulmano professante, Zheng He. A lui venne assegnato il compito di organizzare delle spedizioni atte a rinvigorire e promuovere il commercio tributario, mettendo mano, quando possibile, su beni graditi quali lo zolfo, il pepe, i cavalli, medicine varie e lo stagno. Le sette grandi spedizioni di Zheng He ebbero luogo tra il 1405 e il 1433. Per quanto avessero effettivamente un senso commerciale (ma non esplorativo), a spiccare era più la componente “dimostrativa”. La Cina voleva flettere i muscoli di fronte a tutte le altre potenze dell’ecumene e – mio modesto parere – lo fece in pompa magna.
Pensiamo alla prima spedizione. L’ammiraglio Zheng He poté far affidamento su 255 navi (altre fonti ne indicano un numero maggiore, all’incirca 320). 62 delle quali trasportavano il tesoro imperiale (baochuan). Le altre si suddividevano in imbarcazioni per il trasporto animale (machuan) e in naviglio a bordo del quale si trovavano marinai, soldati e personale vario, come funzionari di corte, medici, astrologi, cartografi e chi più ne ha più ne metta. L’equipaggio complessivo sfiorava per questa prima spedizione i 27.000 uomini. La più grande flotta del mondo prendeva il largo dal Fiume Azzurro. La prima sosta fu a Fujian, dove si assoldarono marinai esperti, molti dei quali arabi. Poi fu la volta di Quy Nohn, Vietnam centrale. Dopo ancora Giava e Sumatra. Nell’amichevole Sultanato di Malacca si attesero i monsoni che, soffiando in inverno verso occidente, permettevano alla spedizione di puntare lo Sri Lanka.
La rotta proseguiva per il Golfo Persico e il Mar Rosso. Il porto di Hormuz precedeva la sosta a La Mecca. Il viaggio di Zheng He si concluse in Africa orientale, con l’attracco al porto keniano di Malindi. Le imprese di Zheng He si interruppero bruscamente per volontà del quinto imperatore Ming, Xuande. Costui ridimensionò la gargantuesca flotta cinese ereditata dai Song, non tanto per motivi economici, quanto più per ordine politico.
Se infatti dal punto di vista della sostenibilità economica non vi erano chissà quali problemi nel mantenimento della flotta (la Cina riscuoteva un corposo volume di imposte e la flotta pesava solo per il 3% dello stanziamento annuale), in ambito politico-strategico le navi di Zheng He rappresentavano più una minaccia che una risorsa. Quelli erano pur sempre gli anni della lotta a nord contro i Mongoli. Inoltre gran parte dei funzionari di corte consigliavano all’imperatore di smantellare quella forza navale così da bloccare sul nascere eventuali rivendicazioni provenienti dagli eunuchi e da alti comandi militari (spesso erano la stessa cosa).
Terminò in quel modo la grandiosa esperienza navale di Zheng He e della flotta imperiale cinese, oramai frammentata e affidata a distaccamenti locali costieri. L’impero non avrebbe più palesato la propria egemonia marina fino al XXI secolo, ossia fino ad oggi.