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Uno su 16.000 ce la fa: la pazzesca storia di William Brydon

Uno su 16.000 ce la fa: la pazzesca storia di William Brydon

Chiudete gli occhi e lasciate lavorare l’immaginazione: fate finta di essere un inglese che di nome fa William e di cognome Brydon. Siete un assistente chirurgo. Avete 31 anni e fate parte dell’esercito britannico, inquadrati nel Reggimento di Shah Shuja, una forza di fanteria combinata, composta da pochi inglesi e tanti indiani. Servite il vostro paese che ha sempre più l’aspetto di un immenso impero. Esattamente per questa ragione vi trovate in Afghanistan a combattere una guerra su cui sapete il giusto. Nel 1842 qualcosa va storto, i superiori comandano a voi, William Brydon di Londra, e ad altre 16.000 persone di ritirarsi da Kabul verso la guarnigione più vicina. Questa si trova a Jalalabad: sono 140 km di passi montani impervi, imbiancati dalla neve e pullulanti di ostili tribù locali. Serve un miracolo per salvarsi e quel miracolo avviene, ma solo per voi, l’unico graziato su 16.000 persone.

Uno su 16.000 ce la fa: la pazzesca storia di William Brydon

Un miracolato? Un uomo tenace in grado di stringere con i denti e chissà con cos’altro il sottile filo della vita? Forse William Brydon fu ambo le cose in quella seconda settimana di gennaio del 1842, frangente storico in cui l’Impero britannico subì uno dei colpi bassi più dolorosi di sempre. Ripercorriamo quel momento, non tralasciando tuttavia il quadro nel suo insieme. Cosa ci faceva l’assistente chirurgo W. Brydon in Afghanistan al volgere della prima metà dell’Ottocento?

William Brydon imboscata tribù afghane

Chi di voi ricorda cosa fu in quegli anni il “Grande Gioco” (se avete bisogno di una rispolverata, questo l’articolo d’approfondimento) allora può ben capire gli intenti della corona britannica in Afghanistan. La volontà degli inglesi, nello specifico della Compagnia delle Indie Orientali, era di trasformare l’emirato di Kabul in uno stato cuscinetto fra l’India e l’Impero zarista, rivale in progressiva espansione sulla direttrice sud-est. Con queste premesse scoppiò la prima guerra anglo-afghana nel 1838. Un anno dopo i soldati di Sua maestà la regina Vittoria riuscirono a deporre il precedente emiro per uno più amichevole. Ma non fu tutto rose e fiori.

Fuori e dentro la capitale divampò la protesta: la presenza europea era malvista e la debole leadership non aiutò di certo. Durante i primi di gennaio del ’42 due delegati della corona di stanza a Kabul furono assassinati. La città non era più un luogo sicuro in cui sostare e i vertici dell’esercito comandarono al maggiore generale William George Keith Elphinstone di fare i bagagli e dirigersi a Jalalabad. Al suo seguito si contavano 4.500 militari e circa 12.000 civili (definibili Camp followers, ovvero seguaci d’accampamento, ad esempio familiari). La lunga marcia partì il 6 gennaio e secondo i piani prevedeva l’attraversamento del passo del Khyber, antico tratto ove secoli addietro viaggiarono uomini e merci nel grande flusso della Via della Seta.

William Brydon passo del Khyber

Il terreno su cui marciarono i 16.000 fra uomini, donne e addirittura qualche bambino, non era dei migliori. Il passo del Khyber, oggi punto di confine fra Afghanistan e Pakistan, è noto per le sue gole rocciose e per gli itinerari incerti. All’epoca c’era un altro fattore a rendere particolarmente proibitivo il passaggio nell’area: i Ghiljī, la più grande fra le tribù pashtun ad abitare quella regione. I nomadi afghani diedero filo da torcere al convoglio in ritirata già dal primo giorno di marcia. Assalti continui e imboscate notturne finirono con il decimare la colonna umana. Gli inglesi (quei pochi che erano rimasti) in balia dello sfuggente avversario raggiunsero il villaggio di Gandamak, a metà strada fra Kabul e Jalalabad, e lì, il 13 gennaio, decisero di opporre una strenua resistenza.

William Brydon resistenza Gandamak

Infreddoliti, ammalati, senza cibo né acqua, il Reggimento di Shah Shuja si disgregò in men che non si dica. Erano rimasti solo pochi sbandati con qualche fucile, pochi vessilli della corona e tanta, tantissima stanchezza. Le tribù afghane massacrarono tutti a Gandamak. Tutti o quasi. William Brydon era uno dei pochi ufficiali a cavallo ad essersi staccati dalla colonna principale diretta al villaggio; anch’egli e il suo piccolo gruppetto fu assalito dai Ghiljī. Sfuggì incredibilmente alla morte e in groppa al suo pony nero riprese la strada per la cittadella di Jalalabad.

William Brydon arriva a Jalalabad

Poco prima dell’imbrunire, le vedette del forte avvistarono un uomo a cavallo avvicinarsi a passo lento, quasi flemmatico. Quell’unica figura era proprio William Brydon, l’assistente chirurgo scampato alla catastrofica ritirata di Kabul. Qui vi svelo un piccolo segreto: prima ho detto una bugia bianca, Brydon non fu propriamente l’unico sopravvissuto alla strage. Certo morirono a migliaia e sì, fu il primo ad arrivare a Jalalabad, ma non fu l’unica persona a salvarsi. Alcuni sepoy (soldati indiani dell’esercito britannico) giunsero dalla guarnigione nei giorni a venire, fino a febbraio almeno. Pochissimi altri si rifugiarono altrove e altrettanti finirono in prigionia. Addirittura il sergente Sita Ram, anche lui un sepoy, sfuggì dopo 21 mesi di cattività, compiendo un’impresa e tornando a Delhi dal suo vecchio reggimento.

William Brydon in vecchiaia

Dell’episodio sin qui narrato rimangono delle suggestive tele realizzate dall’artista vittoriana Lady Butler. Che ne fu di Brydon? Egli si riprese e continuò a servire nell’esercito di Sua maestà. Combatté la seconda guerra anglo-birmana del 1852 e resistette al sanguinoso assedio di Lucknow durante la rivolta dei sepoy nel ’57. Reduce di guerra, fece ingresso nell’Ordine del Bagno (un ordine cavalleresco britannico fondato nel XVIII secolo da re Giorgio I) e passò il resto della sua vita nella contea di Ross, Scozia settentrionale. Morì nel 1873, all’età di 61 anni e con una storia alle spalle tutt’altro che banale.