Oggi curabile grazie ad un intervento chirurgico, un tempo causa di problemi salutari e disagio sociale, la palatoschisi è una malformazione nota al genere umano fin dai tempi più antichi. In minima parte di derivazione genetica, questa deformità colpisce un soggetto su mille (per gran parte dei casi di sesso femminile). L’anomalia si verifica quando il palato duro non si chiude totalmente durante il processo di gestazione. Ciò comporta difficoltà non secondarie nella respirazione, nella deglutizione, nell’igiene orale/nasale, nonché nella comunicazione. In Polonia degli archeologi hanno rinvenuto i resti di un uomo vissuto nel XVIII secolo che ebbe a che fare con questa malformazione. Con grande sorpresa, l’individuo convisse “serenamente” con la condizione, grazie ad una protesi definita dai diretti interessati “eccezionale”.
Anna Spinek, autrice dello studio riferito alla scoperta e antropologa dell’Istituto Hirszfeld di immunologia e terapia sperimentale in Polonia, afferma: “questa è probabilmente la prima scoperta del genere non solo in Polonia ma anche in Europa. Non esistono dispositivi di questo tipo nelle collezioni istituzionali e private [polacche e straniere]“.
Sulla rivista divulgativo-scientifica Journal of Archaeological Science: Reports trova spazio la narrazione dietro la scoperta archeologica unica nel suo genere. La protesi in questione, che gli esperti chiamano “otturatore palatale” è lunga poco più di 3 centimetri, per un peso non superiore ai 5 grammi.
A comporre l’oggetto una sorta di cuscinetto in lana ed una piastra metallica sovrapposta. La scoperta è avvenuta nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Cracovia, storico edificio in stile gotico del XIII secolo nonché simbolo della Chiesa Latina in Polonia.
La protesi per la palatoschisi era incastonata nella bocca di un uomo morto all’età di cinquant’anni. Vista la composizione dell’apparecchio protesico (in oro, argento e rame) e il luogo dell’inumazione, si presuppone come l’uomo godesse di uno status sociale elevato, malgrado la malformazione. A sua volta la lana presenta tracce di ioduro d’argento, composto chimico covalente noto al tempo per le sue proprietà antimicrobiche.
Lo studio si conclude con delle considerazioni essenziali, che dovrebbero far ragionare sull’evoluzione della pratica medico-chirurgica in epoca moderna. Nelle parole di James Watson, antropologo dell’Arizona University: “Questa ricerca contribuisce a una migliore comprensione dell’evoluzione delle pratiche mediche umane nel passato. In particolare di come i difetti dello sviluppo sono stati gestiti per migliorare la qualità della vita degli individui”.