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Una famiglia musulmana custodisce le chiavi della Basilica del Santo Sepolcro dal VII secolo

Una famiglia musulmana custodisce le chiavi della Basilica del Santo Sepolcro dal VII secolo

La Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme è uno dei luoghi più sacri dell’intero Cristianesimo. Secondo tradizione nell’area in cui venne edificata, crocifissero, unsero e seppellirono Gesù Cristo, che nello stesso luogo resuscitò. Fatta costruire originariamente dall’imperatore Costantino nel IV secolo, venne distrutta ai primordi dell’anno Mille. Nuovamente eretta nel 1048 dal basileus Costantino IX Monomaco, la chiesa subì modifiche e ristrutturazioni dovute in particolar modo ai passaggi di mano della Terra Santa. Nonostante le vicissitudini convulse che riguardarono il Santo Sepolcro, una consuetudine è rimasta pressoché invariata dal VII secolo. Infatti è da allora che una famiglia musulmana custodisce le chiavi di uno dei luoghi più sacri della cristianità.

Una famiglia musulmana custodisce le chiavi della Basilica del Santo Sepolcro dal VII secolo

Sono i Nusaybah (عائلة نسيبة, anche detti Nusaibah o Nusseibeh), esponenti della più antica dinastia musulmana sunnita di Gerusalemme a custodire dal VII secolo d.C. le chiavi della Basilica del Santo Sepolcro. La famiglia Nusaybah ha uno stretto legame con la Terra Santa e con le comunità religiose che l’abitano da tempi remoti. Esistono prove storiche tangibili del legame genealogico tra gli attuali esponenti dei Nusaybah e Ubadah ibn al-Samit, fedele compagno di Maometto e servitore dei primi due califfi ortodossi, Abū Bakr e ʿOmar. Durante il califfato decennale di quest’ultimo, dal 634 al 644, caddero sotto l’egida islamica la Siria-Palestina, l’Egitto, la Mesopotamia e la Persia occidentale.

Dal 637 i Nusaybah si stabilirono a Gerusalemme, mescolandosi progressivamente con altri clan tanto cristiani quanto musulmani influenti nel Levante. Il califfo ʿOmar entrò nella città santa e stabilì un patto con il patriarca cristiano Sofronio: se la comunità cristiana non si fosse opposta al dominio dei musulmani, questa avrebbe potuto continuare a praticare liberamente i propri culti.

Basilica del Santo Sepolcro soldati del Saladino

Leggenda vuole che Sofronio chiese in cambio che ʿOmar entrasse in città non da conquistatore ma da pellegrino. Il califfo accettò e secondo disposizione si recò nella Basilica del Santo Sepolcro per pregare. Nel mentre tuttavia cambiò idea e pregò a poca distanza dalla chiesa, dove di lì a poco sarebbe sorta la moschea di Omar. Ancora oggi i due edifici si trovano a pochi metri di distanza, segno della pacifica e rispettosa convivenza religiosa nella città santa.

Nel patto però vi era anche un’altra clausola: le chiavi del Santo Sepolcro sarebbero finite in custodia ai Nusaybah. Ci fu il beneplacito del patriarca gerosolimitano, consapevole dei litigi tra cristiani per l’ottenimento di un simile privilegio.

Basilica del Santo Sepolcro esterno Gerusalemme

Dal VII secolo i Nusaybah si occuparono sia della custodia delle sacri chiavi, sia dell’apertura del portone della chiesa. Tuttavia nel 1192 le cose cambiarono, più nella forma che nella sostanza. Con Gerusalemme di nuovo in mani musulmane grazie all’operato del Saladino, occorreva trovare nuovi accordi con i vertici politici dell’Universitas Christiana.

Saladino e Riccardo Cuor di Leone strinsero un nuovo accordo, per il quale si consentivano i pellegrinaggi cristiani solo a determinate condizioni. Una di queste previde l’affidamento delle chiavi della Basilica del Santo Sepolcro alla famiglia musulmana Joudeh al-Husseini. Invece restava invariato per i Nusaybah il compito di aprire il portone. Da quel frangente storico ad oggi non è cambiato quasi nulla. Ogni mattina uno Joudeh sblocca la serratura e uno dei Nusaybah apre i battenti.

Basilica del Santo Sepolcro apertura solenne

Oltre a ciò è curioso soffermarsi sulla gestione congiunta della chiesa. Ad occuparsene infatti sono ben sei confessioni cristiane, che a turno officiano i riti quotidiani. Le sei confessioni corrispondono a quella cattolica, greco-ortodossa, armena, copta, siriaca ed etiope. Solamente ciò lascia intendere la centralità dell’edificio. È un punto chiave per il dialogo interreligioso e per la convivenza tra le diverse denominazioni cristiane. Il suo valore spirituale, culturale e politico la rende uno dei luoghi più significativi al mondo.