L’arte può generare curiosità, soprattutto quando poco esplicita e decisamente tacita. Eppure mai e poi mai Ferdinand Georg Waldmüller, uno degli artisti austriaci più noti del XIX secolo, si sarebbe aspettato di attirare così tanta attenzione per un piccolo dettaglio in uno dei suoi dipinti più noti, ovvero “Die Erwartete” – tradotto “La donna attesa”. Qual è il dettaglio in questione? Un telefono.
No, non avete letto male e no, che si sappia, nell’800 ancora non andavano di moda i vari IPhone o simili. Da qui, per l’appunto, il mistero. Tutto nasce quando alcuni appassionati d’arte hanno fatto notare il dettaglio “tecnologico” sui social. Il quadro, del 1860, si trova esposto nella “Neue Pinacothek Museum” di Monaco, in Germania. La chicca, come si può ben immaginare, non è passata inosservata.
Inutile dire come nell’arco di poco tempo siano sorte teorie del complotto e ipotesi riguardanti macchine del futuro. Chiariamo subito una cosa: Waldmüller era sicuramente un artista di talento, un uomo dalla cultura sopraffina, ma di certo non disponeva di un macchinario in grado di farlo viaggiare nel futuro, facendogli conoscere nell’immediato l’invenzione del telefono cellulare.
Ma il dubbio è rimasto e per questo sono intervenuti gli esperti, fornendo le giuste spiegazioni. A quanto pare, l’oggetto scuro che la donna tiene tra le mani dovrebbe essere un libretto delle preghiere o anche un innario. Il che ha senso, visto che la giovane in questione si starebbe recando in chiesa per la messa domenicale, mentre un ragazzo, follemente innamorato, si nasconderebbe con un mazzo di rose in mano.
Addirittura è dovuto intervenire il direttore di un’agenzia artistica austriaca, Gerald Weinpolter, per ribadire la teoria più consona e naturale. Giornali, blog online, utenti social e semplici appassionati hanno detto la loro sulla questione, sparandola grossa in qualche caso.
Buffo pensare che il dipinto “Die Erwartete” di Ferdinand Georg Waldmüller passerà alla storia più per questo simpatico malinteso che non per dei pregi strettamente artistici. Ma ehi, siamo nel XXI secolo, questa è la normalità.