Delle complicanze respiratorie lo costringono al ricovero. I medici sanno di non poter far molto, d’altronde ha 87 anni e i polmoni non sono più quelli di una volta. Il 23 marzo 2006 esala l’ultimo respiro, lo fa nella sua casa di Piedmont, in Virginia, la sua amata Virginia, lo stato che gli diede i natali, il luogo a cui pensò giorno e notte durante i suoi anni di guerra nel Pacifico. Una guerra sporca, certamente sanguinosa, ma alla quale dover partecipare obbligatoriamente, è la nazione che lo chiede. Desmond Doss prese parte a quell’incubo straziante dal sapore esotico, visto lo scenario bellico, ma lo fece alla sua maniera, dichiarandosi obiettore di coscienza e salvando vite su vite, sprezzante del pericolo, in barba a tutti gli ordini urlati in cagnesco dai superiori. Quel 23 marzo 2006 si è spento un vecchio uomo, un idealista, un soldato, un eroe.
Desmond nasce a Lynchburg nel 1919. Suo padre è reduce di guerra, ha combattuto in Francia e come tanti sparsi in giro per il mondo non riesce a metabolizzare quanto visto. Il disturbo post-traumatico da stress lo ha reso alcolizzato e violento, vulcanico soprattutto contro sua madre, una casalinga fortemente credente. Questi due elementi, la prepotenza paterna e la fede materna influiranno sul carattere di Desmond Doss, che crescerà con la convinzione di stare al mondo per un motivo ben preciso: amare, rispettare e servire il prossimo incondizionatamente, rinnegando qualunque forma di prevaricazione o maltrattamento. Studia e cresce, conosce una ragazza di cui si innamorerà e lavora come falegname per sostenere economicamente la famiglia durante gli anni della Grande Depressione.
Il 7 dicembre 1941 gli eventi di Pearl Harbor scuotono gli spiriti di un’intera nazione. Doss non fa eccezione. Con grande slancio patriottico decide di arruolarsi come volontario, ma c’è una controindicazione di fondo che se analizzata attentamente finisce per tramutarsi in un gigantesco paradosso. Come fa uno come Desmond Doss, avventista della prima ora e strenuo pacifista, ad arruolarsi per andare a “combattere” i giapponesi tra le isole del Pacifico? Chiamiamo le cose con il loro nome, Doss è un obiettore di coscienza, ovvero un individuo che per motivi etici, personali o religiosi decide di astenersi dall’uso di armi e dalla pratica della violenza. Per quelli come lui il Congresso americano aveva varato una legge ad hoc, un decreto che impediva all’esercito statunitense di scartarli. Dalla legge all’atto pratico ce ne passa però…
Il centro d’addestramento di Fort Jackson, nel Sud Carolina, divenne l’inferno in terra per il ventitreenne. Vessazioni, soprusi, tormenti di ogni tipo, sia fisici che mentali, furono rivolti al povero Doss. Nessun commilitone lo avrebbe voluto al proprio fianco: che farsene d’altro canto? In modo più subdolo, ma non meno pesante, lo sfiduciarono i superiori, i quali vedevano in Desmond una zavorra, neppure lontanamente una risorsa. Il tenace falegname di Lynchburg, Virginia, alla fine ce la fece. Completò l’addestramento e partì per il mare in veste di soccorritore militare. Lo attendevano le Filippine, dove Doss prestò servizio dall’ottobre del 1944 e in cui, a seguito delle battaglie di Guam e del Golfo di Leyte, ricevette una prima onorificenza. Assaggi di ardore, perché di lì’ a poco l’obiettore di coscienza avrebbe compiuto un miracolo che definire straordinario è pure poco.
Suddetto miracolo ha una data esatta di inizio e di fine: 29 aprile – 21 maggio del 1945. Il reggimento di Doss, il 77° fanteria, è coinvolto nella famigerata battaglia di Okinawa. L’obiettivo è quello di scalare una scarpata, posizionare le truppe al di sopra di essa e catapultarsi in un attacco frontale contro la prima linea nipponica, che si trova poco oltre il precipizio. I marines allestiscono un sistema di carrucole in grado di portare su e giù persone, rifornimenti e armi. Una vola sopra, parte l’assalto: è una carneficina per gli americani, che non solo non riescono a sfondare, ma sono costretti ad una ritirata disorganizzata. L’unico che tuttavia non vuole sentire ragioni, rifiutandosi di indietreggiare per salvare quanti erano rimasti feriti nella terra di nessuno, è proprio Desmond Doss.
Privo di un qualsivoglia spirito di autoconservazione, il soccorritore recupera uno dopo l’altro i soldati americani rimasti indietro. Se li carica in spalla e con una forza sconosciuta li trasporta fino al limite della scarpata, calandoli con delle apposite corde. Sia chiaro, non è questione di uno o massimo due giorni! Desmond Doss continuò con le operazioni di salvataggio sulla cresta di Maeda per altri 15 giorni, negando una morte certa a più di 50 persone (il suo reggimento dichiarerà 100 salvataggi; per la medaglia al valore il Congresso gliene attribuisce 75, una via di mezzo). In quelle lunghe giornate di lavoro estenuante, il soldato statunitense curò persino chi doveva, almeno in teoria, ucciderlo. Non pochi giapponesi ricevettero bende e medicamenti di fortuna dall’eroe obiettore di coscienza.
Ma la dea bendata che almeno lo preservò da morte certa, non poté risparmiargli qualche pallottola indesiderata o delle schegge impazzite. Riportò delle ferite gravi alle gambe, all’anca e al costato in occasione di un’esplosione da granata. In un secondo momento un proiettile esploso da un cecchino gli trafisse il braccio sinistro. Nonostante ciò, in nome di un altruismo fuori scala, si rifiutò di prendere posto sul letto di ospedale lasciandolo ad un compagno in condizioni ben più gravi delle sue.
Al tramontare delle ostilità, il 12 ottobre 1945 Desmond Doss ricevette a Washington, dal presidente Truman in persona, la più alta onorificenza militare negli Stati Uniti: la Medal of Honor. Il presidente scambiò due parole con il soldato, asserendo: “Considero questo un onore più grande di quello di essere presidente”. Il club degli obiettori di coscienza a detenere la più prestigiosa decorazione americana è ristrettissimo: ne sono solo tre.
P.S. Come spesso mi capita di fare al termine di un articolo, consiglio la visione de La Battaglia di Hacksaw Ridge. Splendida pellicola del 2016 incentrata sulle gesta di Desmond Doss; alla regia troviamo Mel Gibson mentre nei panni dell’eroico soldato c’è un Andrew Garfield davvero in forma.