Luglio 1917, il mese sta finendo, siamo già al 31. Non accenna a finire l’orrore della guerra, il miasma della morte continua a dilagare, il sangue colora di rosso la terra. La felicità è un concetto lontano, la soddisfazione non esiste. Morte e distruzione sono le parole d’ordine di soldati, di uomini e ragazzi che forse non avevano ancora imparato ad amare e vivere, ma sapevano benissimo odiare e morire. Ecco la terza battaglia di Ypres.
Intorno alla vicina città di Messines, nel precedente mese di giugno, i tedeschi lavoravano già a qualcosa. Nel buio, nella notte e nel silenzio, avanzava il preludio a qualcosa di brutto. L’esercito del Kaiser Guglielmo II dispose e fece esplodere numerose mine. Un fragore immenso, un rumore assordante ed il paesaggio fortemente modificato.
Nell’orrore della guerra si distrussero anche i canali irrigatori, distruggendo moltissime colture e facendo annegare molti soldati. Se il sangue non bastava, vi si aggiunse un po’ di fango. Ma la guerra è sporca e, purtroppo, ancora molto lunga. Tale battaglia si prolungò fino ad Ottobre inoltrato, portando con sé la vita di moltissimi altri uomini, da un fronte come dall’altro.
Il nome di Ypres (in realtà tale battaglia è nota anche come Passchendaele) è legato però ad un fenomeno molto crudo: l’utilizzo di gas velenoso (che fa il suo esordio nella primavera del 1915, durante la seconda offensiva tedesca) che dal luogo prende il nome. La gente moriva inesorabilmente, il gas noto come Iprite nasceva. Ossimorica coincidenza della vita. Alla fine, la conta dei morti è spaventosa: 340.000 circa tra i britannici e 202.000 tra i tedeschi.
Lo storico J. Winter, paragonando tale battaglia alla Caporetto italiana, ne parla come di un “Monumento all’inutilità“. Mezzo milione di morti e mesi di scontri ripetuti con mitragliatrici, cavalleria, bombe e gas nocivi non produssero effetti degni di nota. E, altro triste punto di convergenza, anche qui la colpa fu scaricata sugli inermi soldati. Il Generale inglese Hubert Gough affermò addirittura, con discriminazione razziale, che la colpa era dei soldati in quanti “irlandesi“.
Tale battaglia, insieme a Verdun, fu una delle più sanguinose dell’intero conflitto. Dopo due anni gli eserciti erano stanchi, demotivati e morenti per una patria che non conoscevano. La diserzione serpeggiava tra le loro file, causando malcontento e preoccupazione fra gli ufficiali di rango più alto, ma la guerra continuava e la morte prolifererà ancora almeno per un anno pieno.