Quattrocento anni prima del Risorgimento, qualcuno tentò l’unificazione dei territori italiani sotto un’unica insegna sovrana e con una grande città come capitale regia: Napoli. Quel qualcuno si chiamava Ladislao I detto “il Magnanimo”, l’ultimo erede maschio degli Angiò-Durazzo, ramo collaterale dei ben più noti Angioini. Oggi daremo uno sguardo ai caratteri essenziali di quella fugace esistenza, durata poco più di 38 anni, ma ricolma di episodi grandiosi e controversi, momenti che in potenza avrebbero segnato per sempre le sorti del nostro paese. Senza dilungarmi ulteriormente sull’ipotetico, passo ai fatti. Eccovi la storia di un re ambizioso e spietato, un uomo che sognava in grande e che ambiva all’unità d’Italia. Questa è la vita di Ladislao I d’Angiò-Durazzo.
Figlio di Carlo III e di Margherita Durazzo, l’erede nacque nel 1377. A dieci anni d’età suo padre venne meno, perciò la corona di Napoli passò a lui, previa reggenza della madre. Come spesso accadeva, una reggenza debole comportava contrasti tra pretendenti al trono. Il regno partenopeo non fece eccezione. Prevalse il partito angioino filo-francese, con la salita al trono di Luigi II d’Angiò e la conseguente cacciata del piccolo Ladislao e della madre reggente Margherita. I due trovarono riparo a Gaeta nel 1387.
Comunque il nuovo re non ebbe vita semplice perché disperse energie e risorse nel domare i baroni ribelli. Trascorsero gli anni e Luigi II d’Angiò, nonostante la repressione violenta e la semina di morti, non riuscì a mutare di tanto la situazione interna. Nel 1399 durante una “gita” del re Luigi in Puglia per sistemare i conti con alcuni principi locali, un ventitreenne Ladislao mosse alla volta di Napoli. L’azione fu repentina e non lasciò capacità di reazione all’angioino francese, il quale, oramai isolato e senza supporti esterni, abbandonò la causa e se ne tornò in Francia con la coda tra le gambe. Ladislao poté finalmente esercitare quel potere che gli era stato tolto 13 anni prima e lo fece in modo brutale.
Il Durazzesco ammutolì ogni forma di dissenso, anche se minimo, anche se presunto. Per quanto l’inibizione fu feroce, portò i suoi frutti e il re riuscì ad accentrare tutto il potere su di sé. Adesso poteva dare sfogo alle sue mire espansionistiche, poteva finalmente realizzare un sogno che riponeva nel cassetto ormai da qualche tempo. Nella testa dell’ultimo Angiò-Durazzo gironzolava questa idea un po’ pazza: per mezzo di una guerra di conquista, unificare tutti gli Stati della penisola sotto la sua corona e porre Napoli al centro di questo enorme dominio. Praticamente Ladislao I sognava un’Italia unita con la meravigliosa Partenope capitale. Il re procedette per trasformare i sogni in solide realtà, attivando la macchina bellica e volgendo verso nord.
È il 1405 e Ladislao fa buon viso a cattivo gioco. Da una parte si professa sostenitore del pontefice Innocenzo VII, dall’altra però invade il Lazio, pur non riuscendo a conquistare Roma. Morto un papa, se ne fece un altro: Gregorio XII. Il re di Napoli tornò alla carica e questa volta ebbe successo, cingendo d’assedio le mura dell’Urbe ed entrandovi definitivamente nel 1408. Soggiogato il Patrimonium Sancti Petri, Ladislao intendeva muovere guerra contro Firenze e tutti gli altri Stati settentrionali. Una mossa audace che allarmò non poco tali entità, le quali finirono per unirsi in una lega anti-napoletana. A capo della lega si posero Firenze e Siena (stranamente alleati), ma essa poteva contare sul supporto dell’antipapa Alessandro V, sulle città del centro-nord, tra le quali spiccava Bologna. Inoltre la lega appoggiò chiaramente la candidatura al trono partenopeo del redivivo Luigi II d’Angiò.
Firenze e Siena strapparono Roma alle deboli guarnigioni napoletane. Il contraccolpo però non indebolì Ladislao I che, al contrario, continuava a fare paura. Anzi, il Durazzesco giocò d’astuzia, isolando ancora una volta l’eterno rivale Luigi. Prima una pace equa con la coalizione senese-fiorentina, poi un miglioramento dei rapporti con le altre potenze in gioco, stroncarono per una seconda volta le velleità del Duca d’Angiò. Egli fece ritorno in Francia e si spense nel 1417, chissà con quali rimorsi e quanti rimpianti. Restava solo da riconquistare i territori della Chiesa (difesi in malo modo dal nuovo antipapa Giovanni XXIII) e, perché no, riorganizzare una campagna contro il settentrione italiano. Il primo progetto andò in porto fin da subito, con Ladislao I che entrava nuovamente vittorioso a Roma agli inizi del 1414. A porre un freno all’ambizione del sovrano ci pensò l’unico elemento che non poteva contrastare: la morte.
Una malattia (forse all’apparato genitale) lo colpì e nell’agosto del 1414 lo privò della vita a soli 38 anni. La corona passò alla sorella Giovanna che governò fino al 1435 come ultima esponente della Casa d’Angiò di Napoli. Giovanna fece erigere uno splendido monumento sepolcrale ancora oggi visitabile all’interno della Chiesa di San Giovanni a Carbonara, nel centro storico napoletano. In quell’afoso agosto di inizio XV secolo venne meno un’idea ambiziosa, spregiudicata, anche sfacciata di fronte al sangue versato per conseguirla. Ma quell’idea non morì con Ladislao I e non fu, contrariamente a quanto si possa pensare, unicamente prerogativa dei moti risorgimentali. Questa storia, avvincente a mio parere, lo insegna in modo limpido.