Pura, candida, immacolata, proprio come una diva di Hollywood. Frances Farmer giunse sul gradino più alto della fama cinematografica durante gli anni ’30 del secolo scorso. Un percorso professionale segnato nelle stelle, ma la caduta verso le proverbiali stalle non avrebbe tardato a manifestarsi. Attenzione, non fu la popolarità a corrompere quell’animo così originale, assolutamente no. Anzi, fu proprio un mix diabolico, messo in piedi dalla delusione amorosa e da una società deviata come quella americana dell’epoca, a sancire il declino fisico e mentale di una donna eccezionale. Questa è la storia di Frances Farmer; questa è la storia di un cuore infranto fatto passare per una mente instabile.
Una Seattle in rapido sviluppo vide nascere la piccola Frances il 13 settembre 1913. La ragazzina non ebbe un’infanzia particolarmente felice, perché scossa da una separazione prematura dei genitori e da una volontà materna inflessibile, ignorante di una necessaria stabilità familiare che tanto avrebbe fatto bene a Frances e fratelli. E sarà proprio questa “provvisorietà” a segnare la futura stella della recitazione. A 18 anni Frances veste abiti maschili, gioca ad hockey su ghiaccio e mette in dubbio l’esistenza di un Dio che non vuole proprio manifestarsi (scrive un saggio di nietzschiana memoria intitolato “God Dies” in cui mette in mostra il suo agnosticismo, ma anche il desiderio di conoscere un “superpadre Dio” in grado di organizzare un mondo caotico per sua natura). Questa giovane però è sola.
Terminato il liceo, si iscrive alla Washington University, frequentando contemporaneamente il teatro universitario. Le sue doti attoriali emergono in questo momento. Vince un concorso editoriale proposto da un giornale d’ispirazione comunista e per questo viaggia in direzione Unione Sovietica, Mosca per la precisione. Scandaloso per la stampa locale del tempo, che tempo zero la taccia di simpatie per il comunismo. Un’etichetta scomoda che non impedisce alla Farmer di continuare ad essere se stessa di ritorno dalla gita moscovita. E questa “originalità” l’agente Shepard Raube di New York non se la lascia sfuggire, proponendo alla ragazza di lavorare nel mondo del cinema. Frances Farmer voleva fare teatro, la sua grande passione, ma coglie l’opportunità e firma a 22 anni un contratto quinquennale con la Paramount. Hollywood accoglie la bellissima e talentuosa Frances Farmer.
Si susseguono ruoli importanti in Too Many Parents, Border Flight e Rythm on the Range. Tutti nel 1936. Ah, la ragazza di Seattle si sposa con il collega Leif Erikson. Eppure nulla è rose e fiori, perché la casa di produzione esige dalla Farmer un comportamento consono ai canoni femminili dell’America degli anni ’30. Frances non vuole snaturarsi e del contrasto ne risente primariamente la sua carriera professionale. Intanto esce Come and Get It e Frances Farmer si afferma come diva del cinema nella Los Angeles d’allora. Il matrimonio entra in una fase di degrado, così l’astro talentuoso si allontana e si cimenta in un rapporto amoroso (infine destabilizzante) col regista Clifford Odets. Quest’ultimo, già sposato, sfrutterà la relazione con la Farmer per fini lavorativi. Inutile dire quanto ciò abbia distorto il cuore di Frances al momento dell’inevitabile rottura.
1938, un anno decisivo per la vita dell’attrice. Appacificati i toni con il marito, la coppia si riunisce e a 25 anni lei resta incinta. Ma un bambino avrebbe fermato le carriere in ascesa dei due, almeno nella testa di Erikson, che convince la povera Farmer all’aborto. L’operazione non ha successo, perché delle complicazioni sanciscono l’impossibilità futura per la donna di divenire madre.
Tracollo psicologico totale al quale lei mette una pezza con sigarette – tante sigarette – e alcol. Sono sgarri non da poco, perché le costano il lavoro. La lettera di licenziamento della Paramount è fulminea nel 1942. La guerra nel frattempo imperversa nel mondo, ma a pensarci bene, anche nei pensieri offuscati della Farmer. Arrivano giusto in tempo i problemi con la legge. Conseguenza di quest’ultimi sono le udienze in tribunale, durante le quali una Frances Farmer distrutta nel cuore e nella mente lancia un calamaio addosso al giudice che la sta interrogando. Carcere? No, manicomio.
Prima che la polizia la cacciasse a forza dall’aula, Frances gridò al giudice “lei ha mai avuto il cuore spezzato?” – la frase è esemplificativa dello status di quella donna bisognosa d’aiuto. Un bisogno malinteso perché gli anni trascorsi nelle varie strutture di ricovero psichico completeranno la débâcle. Fino al 1950 saranno anni di abusi, anche sessuali, violenze continue, situazioni disagianti, trattamenti che definire clinici significherebbe insultare la scienza medica. Uscita dalla spirale, Farmer sembra anche riprendersi. Si sposa, trova un lavoro e addirittura torna a recitare. Purtroppo è la quiete prima della tempesta, l’ultima. L’ennesimo divorzio sancisce il definitivo disfacimento mentale. Aggiungiamo a ciò la scoperta di un cancro all’esofago nel 1968… Frances Elena Farmer si spegne il primo giorno d’agosto del 1970, dopo una vita tempestosa segnata dalle logiche possessive di un’industria mostruosa, chiamata Hollywood.