Se gli aeroplani esistono è merito dei fratelli Wright, ma se oggi gli aeroplani volano, il merito è senz’altro di Traian Vuia. Il nome quasi sicuramente non vi dirà nulla, ma sappiate che il mondo deve tanto a questo inventore, nonché pioniere dell’aviazione. La storia fortunatamente non dimentica, mentre la memoria collettiva ha lasciato per strada il ricordo delle sue gesta, lontane più di un secolo eppure attuali come non mai. L’articolo di oggi è un omaggio alla creatività, all’estro di chi non si arrende di fronte alle difficoltà, e in definitiva alla persona di Traian Vuia.
Il protagonista di questa vicenda nasce nel 1872 nel villaggio romeno di Surducu Mic (che oggi trovate sulle mappe con un altro nome, indovinate quale…), allora facente parte dei territori sottostanti l’autorità austro-ungarica. Traian è svelto, curioso e determinato. Qualità che dimostra in più di un’occasione durante il periodo di studi, che si concluderà nel 1892. Gli insegnanti notano nello specifico un’attenzione dello studente per tutto ciò che riguarda la meccanica applicata alla fisica. Così il giovane – fin dall’infanzia in realtà – si appassiona agli aquiloni e al fenomeno che permette loro di volare. Crescendo la passione si tramuta in rigorosa dedizione scientifica. Gli aquiloni suscitano in Traian una domanda: se il vento è essenzialmente l’unica forza a permettere il volo dell’oggetto preso in esame, si può sfruttare tale fattore per “comandare” il volo stesso?
Alla domanda segue una ricerca, alla ricerca segue una risposta: secondo Traian Vuia sì, è possibile! Ma di fisica nell’impero asburgico del tempo (e a maggior ragione nell’area romena) non si viveva. Nonostante sia iscritto al Politecnico di Budapest, il ventunenne intraprende la strada della giurisprudenza e anche se non la gradisce, manda giù il boccone, finendo per ottenere il dottorato a pieni voti nel 1901. L’anno successivo si cimenta nuovamente nello studio e la comprensione teorica del volo umano. Progetta – a metà, per mancanze finanziarie- un prototipo di aeroplano, che lui chiama “aeroplan-automobil” (lett. “aeroplano-automobile”). Traian cerca con insistenza un finanziatore; addirittura finisce a Parigi, dove si imbatte solamente in tanto, forse troppo scetticismo. Le tante porte sbattute in faccia hanno quasi sempre la stessa motivazione: non si può realizzare un mezzo più pesante dell’aria che possa volare autonomamente!
Persino il suo più grande “estimatore” Victor Talin, un fisico teorico e brillante sperimentatore, cerca di convincerlo sull’impossibilità del progetto. Ma se c’è una cosa che a Vuia proprio non manca, questa è la testardaggine. Egli lavora giorno e notte ad un prototipo di velivolo e finalmente ha qualcosa tra le mani. Il 16 febbraio 1903 (dieci mesi prima dei fratelli Wright) spedisce all’Accademia delle scienze di Parigi un’illustrazione scientifica in cui sono evidenti le seguenti possibilità: un mezzo più pesante dell’aria, munito di ali e aerodinamicamente stabile, può non solo volare, ma addirittura staccarsi da terra autonomamente. Da Parigi rispondono così: “Il problema del volo con una macchina che pesa più dell’aria non può essere risolto se si tratta soltanto di un sogno”. Per gli esperti francesi quella suggestione tanto teorica e poco pratica era semplice e genuina utopia.
Traian Vuia proseguì contro tutto e tutti, ottenendo due belle notizie. Nell’agosto 1903 ottiene il brevetto per la sua creazione. Successivamente, nell’ottobre dello medesimo anno esce la prima pubblicazione della licenza. Nasce ufficialmente l’aeroplan-automobil. Il confronto cronologico è d’obbligo, perché è solo nel dicembre del 1903 che i fratelli Wright esultano per il primo volo eseguito da un mezzo più pesante dell’aria. La cosa che però nessuno ricorda è che gli inventori statunitensi necessitarono di una propulsione artificiale per lanciare l’aeroplano, una catapulta insomma.
Al contrario Traian, aiutato dal principale finanziatore Coriolan Brediceanu, riuscì nella stessa impresa senza l’ausilio di un propulsore. L’inventore romeno costruì e brevettò un motore personalizzato (1904), che riuscì ad adattare alla macchina dotata di intelaiatura ed ali (1905). La macchina (che noterete nella fotografia qui sopra) prese il nome di “Vuia I”. Il 18 marzo del 1906, 250 kg di ingegno e tanto coraggio spiccarono il volo dopo 50 metri di rincorsa. Per 12 interminabili metri il “pipistrello” di Vuia riuscì a tenersi lontano da terra (a circa 140 centimetri d’altezza). A Montesson, vicino Parigi, si scrisse la storia dell’aviazione mondiale.
Non una rampa, non una catapulta, neppure l’aiuto di una rotaia di supporto, Traian Vuia era riuscito laddove nessun altro aveva avuto successo. Dopo il volo del 18 marzo, i giornali di tutto il mondo celebrarono il genio prima ancora che l’uomo, ma la fama (internazionale, sia chiaro) svanì con la stessa velocità con la quale si impose. Traian costruì altri modelli d’aeroplano, ottimizzati nella forma e nella sostanza. Anni dopo realizzò anche degli elicotteri, contribuendo allo sviluppo teorico del volo verticale. Continuò a lavorare fino alla fine dei suoi giorni. L’inventore si spense nel 1946 a Bucarest. Venne sepolto nel Cimitero di Bellu. Traian Vuia, in barba agli accademici parigini, dimostrò che in fondo anche i sogni possono volare.