“Pubblico negromante, incantatore di demoni, uomo di eretica pravità e relapso nella abiurata eresia.” – questa fu l’accusa mossa dall’Inquisizione di Milano nei confronti di Gasparre Grassi da Valenza. Il malcapitato detiene un triste record: fu il primo a conoscere la condanna terrena per i suoi peccati diabolici; ciò nel 1385.
La caccia alle streghe (anche se in questo caso specifico parliamo di uno “stregone”) iniziò ufficialmente nel 1327. La validazione della lotta alla stregoneria originò dalla bolla papale “Super illius specula“, la quale portava la firma indelebile di Papa Giovanni XXII. A Milano però il martello per gli eretici tuonò, come anticipato, qualche decennio dopo. Il signor Grassi da Valenza fu solamente il primo di una lunga lista. Esporremo qui di seguito qualche caso noto, per comprendere attraverso il dato oggettivo e documentato il vero operato del Tribunale della Santa Inquisizione di Milano.
Ma quale era il percorso che dalla denuncia conduceva all’esecuzione di un pover uomo, o più spesso, una povera donna? Bastava essere a conoscenza di qualche “arte magica” (ad esempio avere nozioni base sui principi curativi di alcune piante), invocare spiriti o addirittura ballare, per poter finire sotto la mira dell’inquisitore di turno. A Milano, l’uomo adibito all’esame proveniva quasi sicuramente da Corso di Porta Ticinese, sede del tribunale. Da qui la via verso Piazza Vetra, uno dei luoghi prescelti per la “purificazione” (leggasi “condanna”), era diretta.
Cinque anni dall’esecuzione dell’eretico Grassi, perciò nel maggio del 1390, si ripresentò un nuovo caso di stregoneria. Sibilla Zanni e Pierina de’ Bugatis confessano – sotto tortura – di aver partecipato al “Gioco di Diana“. Il rito orgiastico coinvolgeva anche stregoni e spiriti infernali. La giusta punizione era lo strangolamento coadiuvato dal rogo. Altro caso particolare ci porta con la memoria al 1517, quando i giudici dell’Inquisizione milanese additarono sette donne di aver causato una terribile tempesta di pioggia… Erano per forza delle streghe, dai. Ad incanalare il retto giudizio degli inquisitori ci pensava, almeno dal 1484, il famoso “Malleus maleficarum“, scritto nientepopodimeno da Innocenzo VIII.
Ecco, per farvela breve, il “Malleus maleficarum” era un manuale sul come riconoscere le streghe. Semplice ed efficace, consigliatissimo per ogni inquisitore provetto. Il testo divenne la base giuridica sulla quale poggiare le pesanti condanne applicate a presunti casi di stregoneria in tutta la prima Età Moderna. Nel corso del primo trentennio del XVII secolo, Piazza Vetra accolse calorosamente 9 streghe ed uno stregone. Una di loro addirittura arrivò a confessare di aver condiviso un pasto con il diavolo in persona.
Non mancarono le tipiche accuse per convenienza. Tale Caterina Medici (non “quei” Medici), di bassa estrazione sociale, si innamorò del senatore Luigi Melzi. I figli di quest’ultimo, timorosi che la relazione avesse delle implicazioni ereditarie, la scamparono facilmente. Pensare a come è semplice. Caterina doveva per forza di cose aver sedotto l’uomo d’alto rango con strane “arti magiche”. Allestito il palco per lo spettacolo, la povera donzella venne arsa viva. Si progettò anche un carcere per le streghe (a Torre dell’Imperatore). L’ultima esecuzione nota è datata 22 novembre 1641, ma tanta documentazione è andata persa, ragion per cui…