Barcellona e modernismo catalano, un connubio perfetto in grado di ammaliare con opere note – leggasi Sagrada Família o Casa Batlló – e opere meno blasonate, si pensi al Palau de la Música Catalana. Concepito come un nobile “giardino della musica”, il Palau sorge nel pieno centro di Barcellona nel 1908. La prima pietra fu posta tuttavia tre anni prima, nel 1905. La sua storia è inevitabilmente legata a quella di un uomo e di un’istituzione corale, stiamo parlando rispettivamente di Lluís Domènech i Montaner e dell’Orfeó Catalá. Narrando le loro vicende, si può scorgere la vera anima di questa sublime meraviglia architettonica.
Chi ha vissuto o vive il brio della vita barceloní sa benissimo quanto la città debba all’estro creativo di Lluís Domènech i Montaner. Spesso messo in secondo piano da maestri a lui contemporanei, uno su tutti Antoni Gaudí, egli si distinse come uno dei principali interpreti dell’anima eclettica dello stile catalano, di cui tra le altre cose fu iniziatore. Le sue creature più celebri parlano al suo posto: l’Ospedale di Sant Pau, Casa Lleó Morera e Castell dels Tres Dragons solo per citarne alcune. Assemblando componenti dell’architettura neogotica con elementi dell’art nouveau e non dimenticando il valore della tradizione, Domènech i Montaner ha dato vita a capolavori senza tempo.
Il Palau de la Música Catalana è anche questo ma – e qui entra in gioco il secondo riferimento – c’è dell’altro. Perché all’esuberanza decorativa, alle trovate tipiche del razionalismo costruttivo (spazi aperti, senso di libertà, assenza di “ostacoli” visivi, ecc.), si affianca un fattore non di poco conto. Sto parlando della riscoperta del folclore; una cosetta alla quale a Barcellona tengono parecchio, ça va sans dire.
Lluís Millet e Amadeu Vives compartecipano alla fondazione dell’Orfeó Catalá nel 1891 con un unico e tuttavia ambizioso progetto. Risollevare prima ed espandere poi gli orizzonti della musica catalana. Senza girarci troppo attorno dico già da adesso che la compagnia corale non solo riuscirà nell’intento, ma sarà in grado di farlo anche nel periodo di magra rappresentato dalla dittatura franchista, abitualmente avversa ai particolarismi regionali, soprattutto quelli culturali… Soprattutto quelli catalani. L’Orfeó Catalá poté godere di un indubbio successo fin dai primi anni della sua attività. Ecco perché nei primi del Novecento spinse per la realizzazione di una sede così caratteristica e, per l’appunto, riconoscibile.
La sintesi idilliaca fra l’inventiva di Lluís Domènech i Montaner e i propositi del coro di Barcellona decretarono la realizzazione di un vero e proprio emblema del modernismo catalano. Mosaici, sculture, colonnati, composizioni artistiche, vetri, cristalli, ogni cosa all’interno e all’esterno del Palau de la Música Catalana si amalgama senza storture di alcun tipo. Impossibile non notare poi (persino dalle semplici fotografie, che pure non rendono quanto dovrebbero, fidatevi!) i colori, quest’ultimi accesi e soavi.
L’ideatore del Palau volle affidare all’esterno dell’edificio una fisionomia ben delineata, fatta di curve, spazi intermittenti e lineamenti poco rigidi. Tradotto: il doppio colonnato giace a sostegno di un’intrecciata composizione di archi e balconcini. Riferimenti artistici alla flora catalana e allo stile catalano-moresco si rintracciano facilmente osservando i mosaici sulle colonne. Pur sempre di un teatro stiamo parlando, ed è sacrosanto – pensò Domènech i Montaner – inserire i busti degli illustri Bach, Wagner e Beethoven. Per concludere la descrizione della facciata mi sono permesso di lasciare il proverbiale “pezzo forte” alla fine. Sull’angolo della struttura più fotografato (qui sotto l’immagine) spicca il gruppo scultoreo dell’artista spagnolo Miquel Blay.
Questo era l’esterno, ma è all’interno che (a mio modestissimo parere) il Palau dà il suo meglio. In Italia di teatri ce ne intendiamo eccome, ma lasciatemi dire come il colpo d’occhio che la sala concerti riserva al suo ingresso è mozzafiato. L’unicità della cupola di vetro pluricromatica è da restare interdetti, tanta è la bellezza, pura e incisiva. Oltre ai due gruppi scultorei dominanti (uno sulle ballate tradizionali catalane, l’altro dedicato alla Cavalcata delle Valchirie di Wagner), domina la scena nella sua essenziale maestosità l’organo datato 1908.
Già all’epoca si comprese la portata del tesoro architettonico catalano, con spettatori degni di nota provenienti da tutto il mondo a lodarne le fattezze. Poi i meritati riconoscimenti: monumento nazionale nel 1971, patrimonio dell’umanità UNESCO nel 1997. In una città come Barcellona, oggi come non mai di respiro internazionale, affascina la fierezza con la quale i catalani esaltano la tradizione. Arte e architettura vanno di pari passo, il Palau lo dimostra da più di un secolo.