Difficile si senta parlare in giro dei Tatari di Lipka. Il che un po’ sorprende, considerando che sono la più antica comunità musulmana sunnita dell’Europa orientale, ancora oggi presente nei censimenti demografici di paesi quali la Bielorussia, Polonia e Lituania. La loro storia origina da una serie di calcoli geopolitici effettuati nell’est Europa da uomini di potere più di 700 anni fa. Benché non godano di chissà quale interesse accademico – differentemente da quanto accade per gli altri gruppi etnici turcofoni – i Tatari di Lipka mantengono una radice culturale molto vivida, esplicita testimonianza di un’arcaica tradizione sopravvissuta al tempo, alle guerre e all’assimilazione più o meno forzata.
I Tatari di Lipka migrarono per la prima volta in quello che un tempo era noto come Granducato di Lituania all’inizio del XIV secolo. Essi provenivano dagli stati eredi dell’Impero mongolo (Khanato dell’Orda d’Oro) ed erano comunemente noti agli occidentali per via delle loro abilità belliche. Questa prima ondata migratoria passò abbastanza in sordina; le poche comunità turciche tentarono di stanziarsi col favore dei lituani non cristiani, così come provarono a preservare la loro religione sciamanica. Fu tuttavia il secondo flusso migratorio, avvenuto negli ultimi decenni del Trecento, a rappresentare una pietra miliare delle relazioni tra i tatari e l’autorità allora dominante nell’Europa centro-orientale.
Il granduca Vitoldo (regnante dal 1401 al 1430) invitò i tatari ad insediarsi nei territori di sua competenza in cambio del servigio militare contro l’Orda d’Oro. I capi delle comunità accettarono e fu solo allora che si iniziò a chiamarli “Tatari di Lipka” dove Lipka risulta essere una corruzione del termine Lithuania.
Fedeltà e servizio militare in cambio di terre e garanzie sulla preservazione della religione nonché della loro cultura. Il patto non sole resse, ma fruttò ad ambo i contraenti. I guerrieri tatari aiutarono il Granducato di Lituania prima, la Confederazione polacco-lituana poi, in molte guerre, risultando spesso essenziali e determinanti. Un esempio importante fu la battaglia di Grunwald, decisiva per gli equilibri dell’Europa orientale e ancor più per le relazioni di forza tra lituani e cavalieri teutonici. I tatari presero parte alla battaglia, difendendo con tenacia lo stendardo lituano e affermando una volta di più la loro fama di abili uomini d’arme.
Lealtà e attaccamento alla causa lituana ribadita con la dichiarazione tatara del 1519, in cui si affermava: “Veneriamo Vitoldo. Non ci ha ordinato di dimenticare il Profeta… Abbiamo giurato sulle nostre spade di amare i lituani quando il fato e il destino della guerra ci hanno portato nella loro patria, e loro hanno detto: ‘Questa terra e queste acque saranno condivise tra noi'”.
Qui non si vuole semplificare l’entità delle relazioni tra il potere costituito e la piccola minoranza, riducendola alla pur banale “pacifica convivenza”. Soprattutto tra Sei e Settecento scoppiarono degli attriti non secondari tra le parti. Nel 1667 il Sejm (il massimo organo legislativo della Commonwealth polacco-lituano) approvò delle leggi volte ad impedire la promozione dei Tatari di Lipka nelle gerarchie dell’esercito e la costruzione di moschee nei territori della Confederazione. Seguirono delle pesanti decurtazioni della paga per tutti quei tatari già in servizio presso l’esercito. Frustrazione e malcontento portarono nel 1672 allo scoppio di una grande rivolta, per cui si sarebbe trovata una soluzione solamente un paio di anni dopo.
Durante il regno di Jan Sobieski i legami polacco-tatari conobbero un’ulteriore evoluzione. Con il ripristino degli antichi privilegi (se non si fosse agito in questo modo, i Tatari di Lipka avrebbero combattuto per gli ottomani) e la normalizzazione dei rapporti, si procedette anche ad un tentativo di assimilazione. Questo fu lentissimo, non del tutto efficace e trascinato nel tempo. Per intenderci: tra XVII e XVIII secolo, i Tatari di Lipka smisero di parlare l’antica lingua Kipchak, ma preservarono nomi, tradizioni e feste che da quel bagaglio culturale turcico traevano linfa vitale.
A seguito della triplice spartizione polacca (1772, 1793 e 1795) i Tatari di Lipka non videro la loro quotidianità mutare sensibilmente. Il caso prussiano non è praticamente ravvisabile, ma due parole possiamo spenderle per quello russo ed austriaco. Nell’impero dello zar la struttura socio-culturale dei tatari non subì alcuna variazione. Addirittura la legislazione zarista formulò una proposta d’autonomia alle comunità tatare in Polonia (presenti soprattutto nella regione della Podlachia). Al contempo entro i confini asburgici, nell’area della Galizia occidentale, i tatari mantennero una loro ben distinta da tutte le altre, non venendo quasi mai a contatto con polacchi, ruteni ed ebrei.
Facendo un balzo fino agli anni della Grande Guerra, si osserva come buona parte dei musulmani sunniti dell’Europa orientale servì tra le fila dell’esercito zarista. A dimostrazione del loro ossequio nei confronti del vessillo imperiale, quando scoppiò la rivoluzione e mutò nella guerra civile, quei pochi Tatari di Lipka ancora volenterosi di combattere entrarono nei ranghi degli eserciti bianchi. Tutto ciò mentre la neonata Seconda Repubblica di Polonia concedeva rinnovata libertà religiosa e culturale a tutte le minoranze sotto l’egida di Varsavia. Secondo censimenti vagamente affidabili, i tatari in Polonia allora non superavano le 6.000 persone.
Una serenità che terminò bruscamente con il patto Molotov-Ribbentrop del 1939. Nella parte sovietica della Polonia si attuò a pieno la politica etnica del PCUS, fondata su tre capisaldi: deportazione, divisione e reinsediamento. Centinaia di turcofoni finirono nelle aree più remote dell’Unione Sovietica. Sotto il Terzo Reich la situazione non poté dirsi certamente migliore. Anche qui li attesero privazioni, deportazioni e lavori forzati. In poco tempo si materializzò una diaspora dei Tatari di Lipka. Evento del quale si è detto pochissimo e solo a partire dall’implosione del regime sovietico.
Oggi i Tatari di Lipka sono all’incirca 15.000, distribuiti tra Bielorussia (dove vive un 50% circa), Lituania e Polonia. Secoli di processo assimilativo hanno plasmato la loro cultura. Questi fattori hanno ad esempio modificato alcune delle norme prescritte dalla religione islamica sunnita, riguardanti il consumo di alcol e carne di maiale. Quasi la totalità dei Tatari di Lipka dichiara di parlare il polacco come prima lingua e buona parte di essi celebra le festività cattoliche.
Si può parlare di vera e propria rinascita culturale tatara, avvenuta dagli anni ’90 dello scorso secolo e in corso nel presente. Varsavia in primis si è adoperata per riconoscere alla componente tatara una rilevanza nella propria storia statale. Anche qui un esempio non guasta. Da un po’ di tempo a questa parte esiste il Tatar Trail, 150 km di percorso segnalato che attraversa Białystok , Sokółka, Bohoniki, Krynki, Kruszyniany, Krynki e Supraśl. Questi sono i centri urbani nei quali la comunità tatara polacca è stata maggiormente presente nei secoli. Chiudo citando lo storico polacco Bogusław R. Zagórski, il quale si esprime così sulla questione:
«Nel grande schema delle cose, è l’unico caso di una comunità musulmana duratura in una regione europea non islamico. Una comunità che, nel corso dei secoli, ha goduto degli stessi diritti e privilegi, preservandoli – non con poche difficoltà – fino ad oggi».