Francia di fine Settecento: tra grida inneggianti alla libertà della Nazione, alla Repubblica e alla Rivoluzione, un uomo – o comunque presunto tale, viste le sue innaturali capacità – sale alla ribalta. Si chiama Tarrare e per molti medici non è una persona, ma un caso clinico senza precedenti. La sua ingordigia lo precede, la sua voracità parla per lui. Non è solamente un pozzo senza fondo (e qui il campo proverbiale neppure lo sfioriamo), ma si tratta di un essere che contravviene a qualunque logica naturale ed evolutiva. Lo capì per primo il barone Pierre-François Percy, uno dei primi medici a mettere mano sul caso, quando ancora il “caso” era vivo e (più o meno) vegeto. Se oggi sappiamo qualcosa della vita di Tarrare, lo dobbiamo proprio ai resoconti biografici dell’aristocratico francese.
Il nome di battesimo? Non pervenuto. Probabilmente il nome d’arte “Tarrare” è un’alterazione del paesello di Tarare, vicino Lione. Ed è là che la “bestia” nacque nel 1772, forse – saranno tanti i forse in questa storia, vi avviso. Fin da giovanissimo, il ragazzo manifesta un appetito senza eguali. La famiglia di umile estrazione non può assolutamente stare al passo di quel regime alimentare. Neanche 15enne viene cacciato di casa, per iniziare un vagabondaggio dalle tinte circensi. Tarrare diviene un fenomeno da baraccone e il pubblico paga caro per osservare “quella cosa” in grado di mandare giù qualunque alimento (o non) piova dagli spalti del circo. Pensate ad un oggetto… Bene, egli era in grado di mangiarlo.
Arrivati a questo punto, i più attenti avranno notato una similitudine con un soggetto già trattato un po’ di tempo fa: Charles Domery. Ebbene, ironia della sorte, i due vissero nello stesso periodo e militarono nelle medesime file dell’esercito francese. Ma non si incontrarono mai, per fortuna. Sbagliato immaginarsi Tarrare come un omone sovrappeso. Nonostante fosse capace di ingerire cibo per una tavolata da quindici (e accadde), pesava poco più di 50 kg. Esile di statura, dall’aspetto cagionevole, capelli di un lieve biondo e labbra talmente sottili da non vedersi neanche. Intorno al 1790 un occlusione intestinale lo costrinse al ricovero nell’Hôtel-Dieu di Parigi, ed è là che fece la conoscenza del barone Percy.
La sequela degli eventi è sempre la stessa e si ripete quasi a cadenza quotidiana: ciclo di lassativi, evacuazione, assunzione smodata di cibo come se non ci fosse un domani; repeat. Formatasi la Prima Coalizione e scoppiata la guerra, Tarrare decide per qualche motivo (forse in virtù di fantomatiche buone razioni di cibo?) di arruolarsi. L’esperienza è degradante perché sul campo di battaglia non si mangia affatto bene, perciò meglio cercare di che “vivere” altrove. Spazzatura, animali randagi, oggetti dal vago aspetto commestibile: tutto fa brodo (ed è il caso di dirlo) per Tarrare. I superiori spedirono il soldato al confine con la Svizzera, a Soultz-Haut-Rhin per farsi vedere da qualche specialista. Il soggiorno sull’Alto Reno è importante perché i medici, tentando una diagnosi che avesse capo e coda, scoprirono delle cose incredibili sulla reazione post-nutrimento dell’uomo.
Dopo una scorpacciata (che ricordiamo non dovesse per forza di cose corrispondere a cibo vero; mangiava anche le posate se necessario) Tarrare cadeva in una profonda sonnolenza, accompagnata da una sudorazione fetente. Detto ciò, l’organismo rinnegava il vomito, anche se da qualche parte quella roba doveva pur uscire. Vi risparmio la descrizione. Nel caso l’aveste dimenticato, Tarrare restava un uomo d’armi in servizio per la Repubblica, così i superiori lo richiamarono con il chiaro intento di sfruttare quella sua “qualità”. Il piano ben escogitato passò addirittura la supervisione di Alexandre de Beauharnais, generale fidato di Napoleone nonché primo marito di Giuseppina.
L’ordine era il seguente: Tarrare avrebbe dovuto ingerire un contenitore di legno contenente una lettera. Travestitosi da contadino, avrebbe superato la linea prussiana, si sarebbe recato da un comandante francese imprigionato, avrebbe espulso la lettera per poterla consegnare al diretto interessato. Incredibile ma vero… No, il piano fallì perché i soldati del Kaiser lo sgamarono e, impressionati da quell’essere, lo maltrattarono e infine lo rilasciarono. L’azione militare turbò il divoratore, talmente tanto che volle tornare all’ospedale Soultz-Haut-Rhin nel 1794, in cerca di una cura per quel male. Purtroppo per lui, scoppiò un caso (la sparizione di un bambino) che lo vide prima accusato, poi esiliato.
Fino al 1798 si persero completamente le tracce di Tarrare. Percy con grande sorpresa lo incontrò di nuovo all’ospedale di Versailles. L’uomo, evidentemente malmesso, riteneva di aver ingerito una forchetta e che quest’ultima gli causasse dolori lancinanti. La diagnosi raccontava ben altro: tubercolosi. Un mese dopo, Tarrare morì a causa di un attacco di diarrea cronica infiammatoria. Solo un medico ebbe il coraggio di svolgere l’autopsia. Quel corpo dentro era marcio, colmo di pus; lo stomaco occupava quasi tutta l’area addominale ed era rivestito da ulcere. Anche gli altri organi primeggiavano per dimensioni. Ma la sua storia termina qui, perché del suo cadavere non si seppe più nulla. Svanì così l’opportunità di esaminare scientificamente l’uomo più ingordo che la storia abbia mai conosciuto.