John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr. Sono tutti? In realtà molti non lo sanno ma all’origine, tra il 1960 e il ’61, i Beatles contavano un quinto membro, il bassista Stuart Sutcliffe. Questa è la sua storia, fatta di sfortuna, ma anche di lampi di genio creativo al servizio dell’arte, così come di contrasti, poca autostima e tragicità. Tutto ciò racchiuso in quella persona che nessuno ricorda, un ragazzo di nome Stu.
Edimburgo vede nascere Stuart Sutcliffe il 23 giugno 1940. Il ragazzo non vive proprio un’infanzia felicissima, vista l’assenza del padre, costantemente impegnato nella marina mercantile britannica, e lo sconforto malinconico della madre. Stuart però è sveglio, apprende con una velocità sensazionale e a scuola lo notano. Gli insegnanti ci vedono lungo, perché oltre a constatare l’intelligenza del ragazzo, lo supportano in quella che è la sua incredibile vena artistica. Presto Stu – come tutti lo chiamano – inizia a dipingere, con ottimi risultati anche.
Dopo il liceo, Stu si reca a Liverpool, iscrivendosi al College of Art. Anche qui le sue doti pittoriche non passano inosservate. Il ragazzo entra a far parte di un circolo intellettuale molto in voga, il quale è solito riunirsi nello Ye Cracke Pub. Ivi conosce personaggi noti come lo scrittore e giornalista Bill Harry o il pittore Rod Murray. Tra questi, fa amicizia con un giovane John Lennon, il quale aveva assemblato una sorta di band musicale. I due si capiscono: uno apprende nozioni artistiche, l’altro è invogliato ad abbracciare il meraviglioso mondo della musica. Scambio equo e reciproco.
Nell’alimentare la fiamma musicale di Stu ci pensa Paul McCartney. Sarà quest’ultimo a fare di Sutcliffe un bassista. I Beatles nel 1960 sono al completo: 5 è il numero perfetto. Il gruppo di Liverpool parte per la prima trasferta ad Amburgo. Nella città anseatica Stuart, oltre alla conoscenza dell’esistenzialismo tedesco, incontra l’amore: Astrid Kirchherr. Attenzione, il dettaglio non deve passare in secondo piano, perché se i Beatles appaiono nell’immaginario comune come un gruppo di bravi ragazzi dal fare minimalista, coordinati nell’acconciatura a caschetto, in larga parte lo devono alla Kirchherr. Il modellino di prova sarà proprio Sutcliffe, al quale si adatteranno anche gli altri membri.
Voci di corridoio (ma qui non insistiamo, perché la narrazione assume contorni leggendari e dal riscontro incerto) dicono anche che il nome “Beatles” fosse stato scelto dallo stesso Stuart Sutcliffe. Quale che sia la verità, il ragazzo di Edimburgo in quell’anno trascorso come quinto della band muta radicalmente la concezione che il gruppo ha di se stesso. L’inadeguatezza di fronte al basso però è evidente. Stu soffre, perché mentre gli altri fanno danzare le note, lui danza ascoltando, non sentendosi all’altezza. Nel 1961 si allontana, non prima di aver furiosamente litigato con Lennon.
Le strade del gruppo e del singolo si dividono, per sempre. Sutcliffe resta ad Amburgo, è innamorato di Astrid così come torna ad amare visceralmente l’arte figurativa. Una passione stroncata dalla paralisi celebrale: è il 10 aprile 1962, Stu muore in ambulanza, sul tragitto per l’ospedale. Colpa di un tumore maligno in progressivo sviluppo. Gli altri quattro non lo dimenticheranno mai, come testimonia la copertina del loro album più noto, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, del 1967, in cui Stu compare in alto a sinistra, il primo della terza fila in ordine calante (cerchiato in giallo nell’immagine). Sfortunata, tragica, fatta di contrasti e di un talento espresso ma non come voleva, questa come anticipato fu la storia di Stuart Sutcliffe, il quinto Beatle dimenticato.