«Nei conflitti europei, per i quali non c’è un tribunale competente, il diritto si fa valere solo con le baionette.»
Esordendo così in un discorso alla seduta della Confederazione Federale il 22 gennaio del 1864, all’incirca una settimana prima dello scoppio della guerra nello Schleswig-Holstein, Otto von Bismarck presentava senza troppi giri di parole il sentimento che andava per la maggiore in tutte le corti e i parlamenti del Vecchio Continente: ciò che non puoi prendere con il diritto e la giustizia, lo annetti con la forza delle armi, simboleggiate dalla baionetta, oramai entrata a far parte nell’immaginario comune come strumento di guerra per antonomasia. Come vi riuscì? Quali furono le basi pratiche del suo ampio successo in termini bellici? In che modo si evolvette, influenzando – come ci fa notare un Bismarck mai banale – un pensiero collettivo sino a tal punto?
Si parte dalle origini, le quali tuttavia sono documentate in modo incerto, frammentario e talvolta confuso. La parola “baionetta” risale certamente al Cinquecento, ma è solo con il secolo successivo che i primi resoconti iniziano ad accostare il termine con l’ambito bellico. Si citino come esempio il Dictionarie di Cotgrave (1611), che descrive genericamente l’arma come “una specie di piccola lama piatta; o un grande coltello da appendere alla cintura” , o ancora il chimico e medico Pierre Borel, il quale, senza fornire ulteriori descrizioni, asserisce come la lama debba il suo nome a Bayonne, città dei Paesi Baschi francesi in cui si pensa sia stato realizzato il primo esemplare.
Per quanto riguarda l’ordinario uso della baionetta, una prima attestazione è del 1606 e proviene dal trattato marziale cinese Binglu. Nel testo si legge: “La lama-pistola è una spada corta che può essere inserita nella canna e assicurata ruotandola leggermente. Deve essere utilizzata quando in battaglia si esaurisce tanto la polvere da sparo quanto i proiettili, così come quando si combatte contro i banditi, quando le forze si stanno avvicinando in mischia o si incontrano in un’imboscata. Se non si riesce a caricare la pistola entro il tempo necessario per coprire due ‘bu’ (3,2 metri n.d.r.) di terreno, deve attaccare la baionetta ed usarla come se fosse una lancia”.
Gli eserciti di età moderna fecero di necessità virtù. Mentre i primi fucilieri sparavano godendo della protezione dei picchieri (in caso di scontro ravvicinato), con la baionetta veniva meno il ruolo dei secondi, permettendo ai primi di svolgere la duplice funzione. I primi modelli tuttavia erano inastati nella canna dell’arma e impedivano a quest’ultima di sparare. Con l’intuizione dell’innesto ad anello (sistema Vauban), già nell’ultimo quarto del XVII secolo, il problema venne meno. A cavallo tra Sei e Settecento, essa si diffuse rapidamente in tutta Europa.
Come amava ricordare il generalissimo russo – ultimo del suo paese prima di un certo Stalin – Aleksandr Vasil’evič Suvorov nella seconda metà del Settecento “l’arma da fuoco è straordinariamente innovativa, ma la baionetta è coraggiosa”. Appunto, l’arma dei coraggiosi, perché un ottimale utilizzo richiedeva tecnica ed addestramento. Gli strateghi militari iniziarono ad arrovellarsi per sfruttare in tutta la sua potenziale funzionalità la combinazione fucile-baionetta. Vedasi l’introduzione del fucile Baker, in dotazione alla fanteria britannica a partire dagli anni ’40 dell’Ottocento. Il Baker fu in assoluto la prima arma ad avere come equipaggiamento standard la baionetta a spada. Significava che adesso la lama, grazie ad un attacco posizionato sulla punta del fucile, poteva essere rapidamente montata e smontata.
Ulteriore evoluzione si registrò quando fece la sua comparsa sugli scenari bellici di mezzo mondo il moschetto rigato. Questo, assieme ad una baionetta a montaggio francese (ad anello), esordì con un successo senza eguali nella Guerra di Crimea (1853-1856). Di lì a poco le baionette avrebbero “perso” in dimensioni, ma avrebbero guadagnato in efficienza. I prussiani furono i primi a comprenderlo nel 1865, con l’introduzione della baionetta modello Sawback: una lama multiuso, utile tanto per le attività generali (taglio del filo spinato, del legno, macellazione bestiame) quanto per quelle strettamente militari.
Nuovi usi, nuove tattiche. In Giappone durante l’epoca Meiji si sviluppò una tecnica di combattimento specifica per le baionette: lo Jūkendō. L’esercito imperiale nipponico fece di questa arte marziale un vero e proprio vanto. Con l’avvento del nuovo secolo la baionetta divenne una sorta di compagna di vita del soldato al fronte. Non a caso influenzò il gergo militare degli eserciti europei prima e durante lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nelle trincee francesi si prese a soprannominare la baionetta “tire-boche“. Un gioco di parole che i nostri cugini d’oltralpe escogitarono, prendendo il termine francese “tire-bouchon” (cavatappi) e cambiando la desinenza in “boche“, un nomignolo dispregiativo con cui a Parigi si riferivano ai tedeschi (una sorta di crucchi ante litteram). Praticamente la baionetta diventava una “cava-tedeschi”…
Questa come altre espressioni non facevano altro che constatare quanto la baionetta fosse divenuta manifestazione ordinaria della vita di guerra. Nella mente di gran parte di noi, quando si pensa alla lama posta sulla sommità del fucile, lo si fa immaginando il contesto bellico che dilaniò il mondo (ma soprattutto l’Europa) dal 1914 al 1918. Ebbene il ruolo della baionetta nella Grande Guerra è ancora oggi dibattuto e per molti aspetti controverso. Ad esempio è folta la schiera di coloro che sostengono la relativa importanza dell’arma durante il primo conflitto mondiale. Essi portano sul banco delle prove delle testimonianze dirette del tempo, le quali sono abbastanza esplicite nel definire la baionetta “inutilmente ingombrante, figlia di un tempo trascorso e secondaria se confrontata con altri strumenti di più rapido e intuitivo utilizzo”.
Sia negli spazi ristretti della guerra di trincea, nelle incursioni e nei pattugliamenti notturni, sia negli attacchi in campo aperto, i soldati di entrambe le parti riconobbero presto i limiti intrinseci di un fucile fin troppo lungo e di una baionetta fin troppo scomoda quando usati nel combattimento ravvicinato. Scottarono, e parecchio anche, le prime cariche del 1914. Nelle medesime gli ufficiali guidavano interi reggimenti estraendo la sciabola e ordinando ai sottoposti di affrontare delle mitragliatrici leggere appostate dinnanzi a loro. Tutto ciò con la semplice forza del coraggio e della baionetta (con risultati che vi lascio immaginare). Suddetto metodo perse giocoforza gran parte del suo effettivo valore tattico sul campo di battaglia. Gli uomini dell’Intesa e degli Imperi centrali dismisero in parte la baionetta e iniziarono ad avvalersi di altri mezzi più efficaci sulla corta distanza. Coltelli e mazze da trincea, pale, bastoni ferrati, piccole accette e così via.
Nel capolavoro (che vi invito caldamente a leggere) Niente di nuovo sul fronte occidentale, Erich Maria Remarque scrive: “La sciabola-baionetta, del resto, ha perduto molto della sua importanza. Per gli attacchi è venuto ora di moda avanzare soltanto con bombe a mano e vanghette. La vanghetta da trincea, affilata agli orli, è assai più leggera e di migliore uso. Serve non soltanto a colpire sotto il mento, ma a menare gran fendenti, con efficacia assai maggiore: quando si vibra il colpo fra la spalla ed il collo, si spacca talvolta il nemico fino al petto. Invece la baionetta resta sovente conficcata nel corpo dell’avversario, sicché bisogna puntargli i piedi sulla pancia per liberarla, e nel frattempo ti arriva qualche colpo. Inoltre qualche volta si spezza”.
Durante e soprattutto dopo la guerra, si cercò di regolamentare la forma delle baionette secondo il diritto internazionale. Ad esempio si vietarono i modelli dentati utilizzati dal Kaiserreichsheer perché inutilmente cruenti, così come si vietò l’utilizzo di qualsiasi tipo di lama che compromettesse la guarigione, come le baionette triangolari o a croce.
Sebbene l’utilizzo delle baionette andò progressivamente riducendosi con il trascorrere dei decenni, questo non decadde almeno fino agli anni ’50 del XX secolo. Durante la Seconda Guerra Mondiale divennero tristemente note le “cariche Banzai” dei Giapponesi. Orde di uomini che assaltavano le postazioni alleate con enorme coraggio a carissimo costo. Un eccezione, quella dei soldati giapponesi, perché nel resto del mondo la diffusione delle armi automatiche e la rarità dei combattimenti corpo a corpo relegarono la baionetta ad un ruolo di secondo, se non di terzo piano. L’ultima carica registrata dai resoconti militari risale alla guerra di Corea. Precisamente furono un battaglione francese e fanti della brigata turca ad assaltare delle postazioni di mitraglieri cinesi nel 1951. Altresì è nota un’azione condotta da un reggimento americano che in una dinamica simile alla precedente assaltò alla baionetta una postazione nemica.
Lo sviluppo dell’arsenale militare potrebbe far intendere una totale dismissione della baionetta, ma è erroneo crederlo. Non solo hanno continuato a rappresentare un elemento standard della dotazione militare, ma hanno conosciuto addirittura sostanziali miglioramenti. Seppur sporadici e di poco conto, si sono verificati episodi di cariche eseguite con la baionetta innestata in teatri di guerra a noi (purtroppo) noti. Esempi dal sapore anacronistico sono la guerra delle Falkland (nello specifico l’azione del 3° battaglione del reggimento paracadutisti durante la battaglia di Mount Longdon); la seconda guerra del golfo e in Afghanistan.