I dettami della Fall Blau (operazione Blu) erano tanto chiari ed espliciti quanto di difficile attuazione: conquistare i bacini del Don e del Volga, prendere il centro strategico di Stalingrado e avanzare fino ai pozzi petroliferi del Caucaso, garantendo un rinnovato rifornimento energico per le successive offensive in terra sovietica. A Berlino sulla carta era tutto facile, ma è sul campo che la storia si scrive e nei giorni che vanno dall’aprile del 1942 ai primi di febbraio del 1943, ai tedeschi mancava, oltre che cibo e munizioni, anche carta e penna.
L’esercito dell’Asse impiegato nell’ambito dell’operazione Blu poteva contare su un complessivo di circa un milione e mezzo di uomini. Tra questi vi erano rumeni, croati, italiani e ungheresi. Ma a noi, quest’oggi, interessa seguire da vicino la vicenda che visse la 6ª armata della Wehrmacht – forte di circa 250.000 unità – durante la sanguinosa battaglia di Stalingrado.
In breve si può affermare come almeno nelle prime settimane, l’avanzata condotta nelle steppe dal generale Friedrich Paulus fu un successo. Quando però i tedeschi giunsero alla periferia di Stalingrado, il 17 luglio del ’42, le cose iniziarono a complicarsi. Paulus tentò un frettoloso assalto alla città, nella speranza di sfondare la difesa sovietica, fallendo platealmente. Così la tattica tedesca cambiò programma: urgeva un massiccio bombardamento per destabilizzare (ma soprattutto demoralizzare) gli uomini dell’Armata Rossa.
Così nell’arco di qualche mese la città di Stalingrado (se di città si poteva parlare…) si trasformò in un cumulo di macerie. In questo ambiente, tedeschi e russi si fronteggiarono giorno dopo giorno con perdite insostenibili. Quando andava bene, i tedeschi riuscivano a conquistare una casa o quel che restava di un piccolo condominio. Quando andava male, si perdeva una fiumana di uomini senza neppure avanzare da una strada all’altra. A queste condizioni si devono aggiungere una miriade di fattori contrastanti. Tra questi citiamo: il freddo che si avvicina, l’accanita resistenza sovietica, la fame che sopraggiunge e la questione cecchini.
Gli uomini di Paulus iniziarono a parlare di “Rattenkrieg” – letteralmente “guerra dei ratti” – visto lo scenario in cui si consumavano gli scontri bellici ormai a cadenza quotidiana. A novembre ci fu la svolta. Con l’operazione Urano i sovietici passarono al contrattacco, distruggendo i rumeni ai fianchi della 6ª armata e cingendo d’assedio la stessa Stalingrado occupata. Fu un lento, gelido e doloroso logoramento per i tedeschi. Da Berlino giungevano lampanti ordini di resistenza e inarrendevolezza…Parole al vento.
Dei 250.000 uomini di luglio, circa 90.000 si arresero nel febbraio del ’43. Di questi 90.000, solo 5.000 fecero ritorno a casa in Germania nel 1955. Stalingrado fu l’inizio della fine per le ambizioni dell’Asse. Sì, perché le convinzioni degli alti comandi nazionalsocialisti sull’esito della guerra cominciarono a crollare, proprio come crollarono i palazzi in cemento della città di Stalin sotto le bombe tedesche.