Là, dove la Messenia lascia il passo alla Laconia, si estende una catena montuosa dalle origini epiche: il Taigeto. Già Omero in realtà ne esaltava l’imponenza, definendola con il termine periméketos, perciò “grandissima”. Una conformazione che fece luccicare gli occhi anche all’antica e fiera Sparta, la quale pose radici ai piedi del Taigeto stesso. Ecco, soffermandoci sul legame tra il monte e la polis, vogliamo non solo smentire, ma approfondire la tematica incentrata sull’abbandono degli infanti deformi all’interno di una faglia naturale, recentemente individuata nella grotta di Kaiadas.
Una leggenda, per l’appunto, che nel corso dei millenni ha avuto fin troppa fortuna. Una voce popolare che ci presenta gli Spartani come dei beceri inumani privi di emozioni e sensibilità. Sì, ok, non che in epoca classica splendessero per delicatezza e amore per il prossimo, ma di certo appare difficile (ma non impossibile, a quanto pare) pensare come l’autorità lacedemone fosse propensa a gettare all’interno di una grotta tutti quei bambini nati deformi o comunque precari dal punto di vista salutare. Qualcuno, giustamente incuriosito, ha voluto vederci chiaro. Da questa ricerca è nata una salda consapevolezza storica, che vogliamo sottolineare.
Ma partiamo dall’inizio. Pausania il Periegeta e Plutarco, due a caso insomma, avvalorarono la tesi dell’infausta grotta. Addirittura lo scrittore e geografo d’origine asiatica nel suo Periegesi della Grecia indica il luogo della cava, chiamandolo Kaiadas (Καιάδας). Guarda un po’, a 9 km da Sparta, poco lontano dal villaggio di Trypi, esiste una grotta che porta proprio quel nome. Perché non cercare? Si è chiesto Theodoros Pitsios, antropologo dell’Università di Atene.
Chiedendo ai locali, lo studioso confermò le proprie aspettative. Tutti gli intervistati riferirono come all’interno della cavità rocciosa si trovassero, da tempi immemori, resti di ossa umane sparse, in gran numero anche. Pitsios, accompagnato da uno speleologo e da un geologo, si calò nella grotta di Kaiadas. I tre, anche in seguito alle analisi in laboratorio, poterono confermare che sì, qualcuno gettò lì sotto quei pover uomini in epoca spartana ma che no, nessuna delle ossa sembrava appartenere a umani di giovanissima età. Vista la datazione, si è ipotizzato come gran parte dei resti sul baratro appartenesse a prigionieri di battaglia, dai 18 ai 35 anni d’età, catturati da Sparta durante le Guerre Messeniche (dall’VIII fino al V secolo a.C.).
Gli Spartani talvolta utilizzarono la caverna come supplizio per i traditori della patria. Concetto che a Roma applicheranno magistralmente; si citi in causa la Rupe Tarpea. Lo studio dell’antropologo greco sulla leggenda dei bambini deformi gettati nella grotta di Kaiadas non ha fatto altro che rafforzare il sentito comune della storiografia moderna.
Quest’ultima è ferma su posizioni realistiche da molto tempo a dire il vero. Già Olivier Rayet, archeologo francese di fine Ottocento, ebbe modo di smentire la nera leggenda della grotta. Egli addirittura scrisse un resoconto dettagliato della sua esperienza all’interno dell’insenatura, documento che per quanto accurato, non ebbe molta fortuna editoriale/accademica. Mettere i puntini sulle “i” delle volte più spazzare via quel velo romantico che attornia le leggende locali, ma è un’operazione necessaria affinché si conosca la realtà storica concreta.