Nel 2005 in seguito all’esito elettorale favorevole il partito polacco d’estrema destra Diritto e Giustizia formò il proprio governo di minoranza. Una delle prime mosse dell’esecutivo fu quella di desecretare una serie di piani sino ad allora top-secret al fine di “tracciare una linea sotto il passato comunista del paese” e di “educare l’opinione pubblica polacca sul vecchio regime”. Videro la luce le sottotrame dell’Operazione Dublino (l’invasione della Cecoslovacchia posta in essere dal Patto di Varsavia nel 1968), gli accorgimenti sovietici per sopprimere le manifestazioni polacche del 1970 o ancora l’imposizione della legge marziale in Polonia nei primi anni ’80. Eppure i giornalisti chiamati a presenziare la desecretazione dei documenti sensibili videro qualcosa di strano, un piano noto come “Sette Giorni al Fiume Reno” (dal russo Семь дней до реки Рейн, Sem’ dnej do reki Rejn).
Ebbene, di fronte a loro si palesava per la prima volta il piano del Patto di Varsavia, a guida sovietica chiaramente, per la fine del mondo. Suddetto piano prevedeva la conduzione di una guerra nucleare di sette giorni a seguito di un attacco NATO. D’altronde l’anno in cui il disegno venne alla luce, il 1979, non era affatto esente da problematiche internazionali e fattori di scontro tra i due blocchi. La Guerra Fredda andava progressivamente surriscaldandosi in Nicaragua, Afghanistan e non ultima Polonia. Il Politburo sentì la necessità impellente di dover progettare un piano di difesa e contrattacco difronte alla minaccia occidentale.
Quell’elaborazione presumibile ed ipotetica prese un nome quasi cinematografico, ad effetto direi: “Sette Giorni al Fiume Reno”. Quali erano i principali punti del piano? In che modo i paesi firmatari del Patto di Varsavia avrebbero contribuito? Nell’ipotesi in cui un colpo nucleare fosse sferrato dalla NATO sulle città polacche situate nella valle della Vistola e contro quelle cecoslovacche al confine (causando, secondo le stime, la morte di due milioni di persone e il totale annichilimento del potenziale bellico polacco), le forze del blocco sovietico avrebbero reagito con prontezza e determinazione attraverso i seguenti punti.
1) Il Gruppo di forze sovietiche in Germania, formato da cinque armate tra fanteria meccanicizzata e mezzi pesanti, in aggiunta alle truppe della Nationale Volksarmee (DDR), avrebbe contrattaccato puntando dritto Belgio, Danimarca, Germania Ovest, Italia nordorientale e Paesi Bassi.
2) L’avanzata degli uomini nelle zone non contaminate si sarebbe alternata a strike nucleari tattici in diverse città dell’Occidente. La rappresaglia atomica avrebbe perciò riguardato gran parte dell’Europa, con le uniche eccezioni di Francia e Regno Unito. Questa decisione si basava sulla ferrea convenzione degli alti papaveri sovietici per la quale i due paesi non avrebbero risposto al fuoco se non toccati direttamente dal bombardamento. Certezza che derivava anche dall’atteggiamento della Francia gollista, appena uscita dall’Alleanza Atlantica.
3) Per mantenere lo slancio delle truppe di terra almeno fino al Reno ed il Weser, l’aviazione sovietica avrebbe sprigionato 7,5 megatoni di armamenti atomici. Si potrebbe pensare ad un quantitativo modesto (pensiamo alla Bomba Zar con i suoi 55 megatoni…). Era comunque quanto bastava per garantire la distruzione dell’80% di poli cittadini del calibro di Norimberga, Monaco di Baviera, Stoccarda nel bassopiano germanico. La devastazione avrebbe riguardato Esbjerg e Roskilde in Danimarca. Vienna allo stesso modo sarebbe andata incontro alla disintegrazione. Il piano inizialmente prevedeva anche 500 kilotoni per Vicenza, Verona e Padova, salvo poi un ripensamento finale.
I “Sette Giorni al Fiume Reno” non avrebbero condotto tuttavia ad una Terza Guerra Mondiale, almeno nelle idee sovietiche. La NATO, e dunque gli USA, avrebbe sacrificato quei membri secondari dell’Alleanza pur di evitare un’escalation su campo globale. Lo avrebbero fatto in nome della tanto decantata Realpolitik. Secondo le stime più ottimistiche, l’avanzata delle forze del Patto si sarebbe fermata ai Pirenei, con il contemporaneo predominio navale nel nord dell’Atlantico. Spaventa sapere come la parte iniziale del progetto effettivamente ebbe luogo. Tra l’agosto e il settembre del 1979 i russi dispiegarono 60.000 carri armati in tutta l’Europa orientale. L’operazione doveva apparire come un’esercitazione, ma la firma degli accordi SALT II il 18 dicembre 1979 annullò tutto. Chissà a cosa avrebbero condotto sette tragici giorni di funghi atomici?