La Sardegna è rinomata per il suo bellissimo mare e per le grandissime bellezze naturali che ospita. Le calette, le spiagge illibate e l’acqua cristallina, ma tutto questo ci ricorda la Sardegna d’estate. Se pensiamo all’inverno pensiamo ad una terra aspra e chiusa in se stessa, aiutata dal fatto di essere un’isola. Infine, se ci sforziamo a trovare una caratteristica dei sardi, diremmo che sono longevi, molto longevi. Bene, oggi parleremo però anche del contrario della longevità e di geronticidio, sapete già di cosa si tratta?
Per dare più concretezza alle informazioni, forniamo dei dati fattuali. Stando alla comunicazione del Centro Studi del Cipnes dalle pubblicazioni dell’Istat del 1 gennaio 2024, in Sardegna vivono ben 606 centenari, su 1,64 milioni di persone. A colpo d’occhio non sembrerebbero molti, ma lo sono. Rimane la domanda principale: perché un tasso così alto?
Dopo la statistica, viene in nostro aiuto la scienza: ai sardi manca un particolare enzima correlato al favismo e alla longevità. Stiamo parlando dell’enzima G6PD che, a quanto pare, aiuta a vivere più a lungo. Ma siamo scuri che vivere di più sia sempre un bene? Di sicuro a livello personale può esserlo, ma a livello della società civile spesso è l’esatto contrario.
Secondo l’antica tradizione popolare sarda infatti, giunti all’età di 70 anni, gli antichi sardi andavano incontro a geronticidio, proprio perché erano considerati un peso per la società. Si trattava di una pratica di origine fenicio-punica, dunque antichissima. Chiaramente si rivolgeva alla divinità del tempo, il dio Kronos. Ma l’elemento più macabro riguarda l’esecuzione della tecnica.
Raggiunti i 70 anni di età gli anziani sapevano che la morte li attendeva. Ma la morte, oltre ad essere sicura, non era anche dolce e delicata, ma l’esatto contrario. Gli anziani venivano fatti salire su una rupe e buttati di sotto (se avete visto il film Midsommar, diretto da Ari Aster, sapete di cosa stiamo parlando). Ma non finisce qui: prima di ricevere il colpo di grazia ingerivano una pianta tossica che li bloccava per sempre con un ghigno in volto.
Da questa usanza e dall’ultimo particolare nello specifico nasce la maschera punica chiamata “Riso sardonico“. Infine, e forse la caratteristica più inquietante di tutte, ad eseguire il rituale erano gli stessi figli degli anziani. Una pratica antica, ricca di sfumature incerte e magari di aggiunte di particolari non veritieri, ma che contiene sicuramente un’inquietante fondo di verità.