È il 1938 e la tenaglia nazionalsocialista è sempre più asfissiante. Dopo l’Anschluss molte famiglie ebree austriache, mosse da un giustificato timore nei confronti della nuova autorità, cercano un rifugio. Una delle soluzioni è la neutrale (ma spaventata) Svizzera, verso ovest. Il flusso migratorio si fa pressante soprattutto a cavallo tra il ’38 e il ’39. Il varco cantonale a San Gallo è chiuso, da quelle parti serpeggia l’apprensione per una possibile invasione tedesca; accogliere rifugiati ebrei significa concedere un bel casus belli. Paul Grüninger lo sa, ma per quella che è la sua morale, se ne infischia…
La tragedia ha inizio quando una circolare firmata dal consiglio federale prevede il respingimento per cause etniche degli esuli fermi a ridosso della dogana. Se i funzionari svizzeri notassero la lettera “J” (che sta per Jude, ebreo in tedesco) sul passaporto del richiedente asilo, la loro validità decadrebbe e l’ingresso sarebbe vietato. Questo è il risultato di una serie di regolamentazioni internazionali sottoscritte dal Reich durante tutto il 1938. Il capitano della polizia cantonale Paul Grüninger, in servizio presso Diepoldsau sul Reno, si riserva il compito di identificazione, valutazione e respingimento. Categorico, inflessibile, nient’altro. Ma Grüninger non è d’accordo con queste politiche, non lo è mai stato.
Sarebbe bello approfondire il passato di Paul, ma non voglio dilungarmi in questioni non attinenti alla tematica centrale. Ci basti sapere che l’uomo nato a San Gallo il 27 ottobre 1891 ha avuto sempre un occhio di riguardo per la fedeltà, la giustizia, la rettitudine e il dovere. La sua carriera lavorativa, che si snoda tra il calcio e l’insegnamento, tra il militare e l’amministrazione dirigenziale, non ha mai smesso di ruotare attorno ai cardini etico-morali precedentemente sottolineati. Ecco perché Grüninger denunciò in un neppur troppo remoto agosto 1938 il disegno di legge discriminatorio e razzista presentato durante la Conferenza dei direttori di polizia cantonali, definendolo assurdo e trascurante dei dolori inflitti a migliaia di famiglie ebree.
Di fronte ad una situazione giuridica e burocratica ostile, dinnanzi all’orrore di quelle persone che in pieno inverno tentavano di oltrepassare la frontiera nuotando tra le acque ghiacciate del Reno, Paul Grüninger trasgredì. Tra l’agosto del 1938 e l’aprile del 1939 manomise personalmente migliaia di passaporti, facendo entrare persone disperate. Molti ebrei portavano il segno indelebile causato dalla ferocia della Gestapo o peggio ancora delle SS. Grüninger ascoltava quelle storie e rabbrividiva. Così divenne un dissidente, un ribelle dell’inumano status quo. Sviando i colleghi – che nel frattempo iniziarono ad indagare: troppi erano coloro i quali passavano alla dogana – ed ostacolando le ispezioni, il capitano di polizia salvò la vita di circa 3.600 ebrei. Quando lo scoprirono, la vita lavorativa dell’uomo terminò. E adesso forse viene la parte più grottesca della sua intera esistenza.
Etichettato come “traditore”, bollato indelebilmente come un “pregiudicato”, dal secondo dopoguerra in poi Grüninger non visse, sopravvisse. Lavoricchiò, pur non guadagnando nulla. Addirittura la figlia abbandonò gli studi a Losanna per contribuire economicamente, cercandosi un lavoro. Visto il costo dell’affitto, viste le spese ordinarie, spesso ad un pranzo non seguiva una cena. Perché? Perché dopo la guerra nessuno pensò a riabilitare l’immagine di un uomo che aveva fatto così tanto per una giusta causa? Solo dal 1970 si operò in tal senso, con Paul che si spense due anni dopo. Anche la stessa comunità ebraica fu lenta, forse troppo, nel riconoscere quanto fatto e sottoscritto dalle documentazioni coeve.
Da una parte forse esistettero delle pressioni politiche affinché la storia, in grado di sfigurare l’immagine pubblica dell’autorità cantonale, non venisse a galla. Dall’altro lato non si voleva dar l’idea di aver contribuito alla Shoah. Tardivamente l’opinione pubblica seppe, fuori tempo si riconobbe il valore di quel capitano cantonale. Nell’aprile 1971 lo Yad Vashem riconobbe Paul Grüninger come “Giusto tra le Nazioni“. 23 anni dopo la morte dell’uomo, il Tribunale di San Gallo riapre il caso, lo assolve e riabilita la sua memoria. Piazze, ponti, strade, stadi, associazioni ed enti benefici portano oggi il suo nome. Finalmente.