Durante la Prima Guerra Mondiale molti soldati del kaiser perirono non a causa dei proiettili o per colpa del fuoco d’artiglieria. No, in tanti esalarono il loro ultimo respiro nelle sporche trincee del fronte per il tifo. L’esperienza segnò così tanto il popolo germanico da renderlo incredibilmente timoroso di fronte a tale tematica. Pensate un po’, sfruttando questo cavillo, un medico polacco di nome Eugeniusz Łazowski salvò all’incirca 8.000 persone dallo sterminio nazionalsocialista tra il 1940 e il 1944; come? Dichiarando una falsa epidemia di tifo!
Procediamo con ordine. Laureatosi in medicina prima dell’inizio del conflitto, Eugeniusz Łazowski in seguito servì come sottotenente dell’esercito polacco in un treno della Croce Rossa per poi entrare a far parte della resistenza a seguito dell’occupazione tedesca. Anche lui conobbe per un breve periodo di tempo la crudeltà di un campo d’internamento. Scappò e raggiunse sua moglie a Rozwadów. Nella cittadina vi era un ghetto, adiacente al quale si trovava l’abitazione del nostro medico. Già nei primi tempi si adoperò per curare gli ebrei malati all’interno del ghetto, agendo col favore della notte ed evitando con successo le guardie in uniforme grigia.
Tuttavia la vera svolta avvenne quando Stanislaw Matulewicz, dottore ed amico di Łazowski, scoprì una dinamica clinica davvero interessante. Se si fossero iniettati batteri inattivi di tifo in un paziente sano, questo sarebbe risultato positivo pur non mostrando alcun sintomo, né contraendo la malattia. Chiariamo una cosa: i tedeschi, onde evitare la diffusione di tali epidemie, preferivano non far lavorare i malati (tanto ci avrebbe pensato il morbo ad ammazzarli; si sarebbero risparmiati il proiettile). Berlino fin dal principio dell’occupazione, memore di quanto accaduto qualche decennio prima, ordinò la segnalazione dei casi conclamati di tifo.
Ciò sarebbe avvenuto a seguito della controanalisi delle autorità mediche tedesche. Se queste fossero risultate positive, allora i pazienti malati sarebbero stati esentati dal massacrante lavoro da campo. Matulewicz, sperimentò con un volontario ed ebbe successo. Così estese la fittizia vaccinazione ad un ventaglio di persone molto più esteso, di fatto salvandole dai campi di concentramento. Gli ufficiali della Wehrmacht dichiararono off-limits il ghetto di Rozwadów, nel quale imperversava una falsa epidemia di tifo. Per mantenere segreto l’escamotage, i due medici non rivelarono nulla né ai pazienti (ai quali veniva fatto credere di star affrontando una vaccinazione obbligatoria voluta dagli stessi tedeschi) né ai familiari più stretti.
Per paura di eventuali ritorsioni, Łazowski tenne il becco chiuso fino al 1977! Il mondo conobbe la reale entità della vicenda grazie ad una lettera che il medico spedì nel suddetto anno alla Società americana per la Microbiologia. Vero è che a qualche militare venne il dubbio sulla bassissima mortalità di quel “spaventoso” tifo, ma Łazowski riuscì a sviare le indagini mostrando ai soldati alcune stanze malmesse che ospitavano polacchi sporchissimi e moribondi – almeno sulla carta. È adeguato dire che le autorità, fissate con l’igiene, ci cascarono con tutti gli stivali.
Il medico polacco si trasferì negli USA dopo la guerra e qui pubblicò un libro intitolato “La mia guerra privata” che narra la storia fin qui raccontata. Lo Stato di Israele lo ha dichiarato “Giusto tra le Nazioni“. All’età di 87 anni, quindi nel 2001, Eugeniusz Łazowski tornò in Polonia, accolto come un eroe. Egli però disse di aver “solamente” operato nel bene, come un medico dovrebbe sempre fare. Minimizzò il tutto, ma lui, come molti altri, riuscì a combattere e sconfiggere un male spregevole. Un male non eradicato, che serpeggia ancora tra di noi…