Cosa accadrebbe se ad una volontà impregnata di umanesimo rampante unissimo una ferma presa di posizione contro il turco, reo di aver abbattuto l’antico baluardo romano di Costantinopoli e di essersi auto-dichiarato (con merito, n.d.r.) autorità insormontabile “per le cose di Levante“, citando le parole dei legati genovesi nelle isole egee? Ve lo dico io cosa accade: si punta all’insperata riconquista della metropoli affacciata sul Bosforo. Alla regia del piano vi sono Lampo Birago e Papa Niccolò V. Potrebbe sembrare una fandonia e invece no, è tutto vero.
Prima di vedere cosa fanno e come pensano, cerchiamo di capire chi sono. Lampo Birago è un umanista milanese del XV secolo che la storiografia ha riscoperto solo di recente. Egli, come molti altri suoi coevi, predicò un’ideale riconquista cristiana della città simbolo d’Oriente per rivendicare una presunta liberazione del sapere greco. Dico “presunta” perché gli Ottomani non fecero nulla per criptare questa sapienza, anzi, caso mai l’accrebbero attraverso la critica propria di grandissimi intellettuali musulmani.
Ma per quel che deve interessarci, Lampugnino della famiglia Biraghi – abbreviato Lampo Birago – è convinto fino al midollo della centralità del ruolo italiano (accezione territoriale, non nazionale) nella liberazione di Costantinopoli. Nel suo Strategicon Adversus Turcos egli esplicita un vero e proprio piano per porre in essere la riconquista. Questa deve passare per le spade di un forte esercito a comando papale. D’altronde al soglio pontificio allora siede Niccolò V (in carica dal 1447 al 1455), il quale soffre e non poco la caduta di Bisanzio. Il malessere è talmente lacerante che indice una Crociata contro il turco; la proposta non trova chissà quale seguito, se non quello di Lampo Birago. Ed ecco che gli interessi convergono, dando vita ad un piano più ambiguo che assurdo.
Niccolò V fa due cose in merito: incarica una commissione cardinalizia per lo studio della questione e affida al sapiente milanese la preparazione del piano. Ottimista della prima ora, Lampo Birago si mette a scrivere tra la fine del 1454 e il marzo dell’anno successivo il già citato testo. Nel libro si evince come un corpo d’arme composto da 12.000 cavalieri e 15.000 fanti, guidato dal cardinal Bessarione, imbarcatosi, debba spiegare le vele almeno fino alla Morea. Da qui, eccitando gli animi del popolo ellenico (che in politichese significa “ingrossare le fila dell’esercito con mercenari e volontari”), si prosegue risalendo l’Attica, la Tessaglia, poi la Tracia, giungendo infine di fronte le imponenti mura costantinopolitane.
Per Lampo Birago, il piano si attua semplicemente in due o tre anni. Ah, siccome l’umanista è scettico sulle armi da fuoco (rudimentali per carità, ma pur sempre promettenti), sostiene come il turco cadrebbe facilmente dinnanzi alla falcidiata delle balestre. Sì, credici Lampo. Ironia della sorte, Niccolò V spira nello stesso momento in cui l’esponente della famiglia Biraghi termina la stesura dello Strategicon Adversus Turcos. Non che fosse chissà quale intoppo, visto che a poco erano serviti gli appelli del papa alle varie teste coronate d’Europa. Federico III d’Asburgo, con il quale era molto amico, fece orecchie da mercante. Francia e Inghilterra se l’erano date di santa ragione fino a poco tempo prima; non era proprio il caso di avventurarsi in Oriente alla conquista di chissà cosa per chissà quali ritorni economici.
Genova e Venezia, che pure avevano messo in piedi una piccola spedizione navale durante la presa del 1453, de facto non credevano nel progetto di papa Parentucelli. Muore così l’intero progetto? Dipende dai punti di vista. Il cardinale Trevisan, che quando sveste la tonaca rossa indossa ben volentieri l’armatura, nel 1455 parte per l’Egeo con una quarantina di galee in sostegno della “Crociata contro il Turco”. In realtà fino al 1459 spargerà sangue da isola ad isola, distruggerà e deprederà senza ritegno. Il bottino che riporterà a Roma da papa Pio II sarà di tutto rispetto. Eh ma la guerra è la guerra…