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Re Mida, il sottile confine tra benedizione e maledizione

Re Mida, il sottile confine tra benedizione e maledizione

Colui che tutto tocca e tutto trasforma in oro. Per molti re Mida assume i connotati del benedetto, ma anche dell’incosciente, perché reo di non intravedere la sottile linea di demarcazione fra la beatitudine materiale e la condanna eterna. I diversi miti che lo riguardano appaiono come un monito, un avviso che gli antichi Greci hanno voluto inscrivere nelle pagine del tempo, nel tentativo di esporre e denudare i pericoli dell’arroganza, della bramosia più sfrenata. Racconti mitici, appunto, ma che come spesso accade affondano le loro radici ideali in un passato remoto concreto.

Re Mida, il sottile confine tra benedizione e maledizione

Mida (Μίδας, Mídas) fu un mitico sovrano della Frigia, regione storica dell’Anatolia centro-occidentale. Secondo alcune fonti figlio di Zeus e della dea Cibele, secondo altre nato dall’unione di quest’ultima divinità con Gordio, anch’egli mitico re della Frigia. Di lui e della sua vicenda scrissero i più grandi autori dell’antichità: da Pausania il Periegeta ad Aristotele, passando per Erodoto e il romano Ovidio.

Il Mida del mito (scusate il gioco di parole) finisce inevitabilmente per confondersi con il Mida storico, che pure vi fu. Per alcuni studiosi sono due cose separate: benché condividano il nominativo e la regione d’appartenenza non hanno nient’altro da spartire. Poi esiste una frangia di ricercatori, anche abbastanza corposa, che finisce per associare le due figure. Solo per fare i puntigliosi, un Mida re di Frigia effettivamente esistette nell’VIII secolo a.C. Egli sposò una principessa eolica di nome Damodice, figura alla quale Aristotele attribuisce l’invenzione della moneta. Erodoto ci dice come questo sovrano fu il primo tra gli “stranieri” ad inviare offerte al santuario di Apollo a Delfi. La sua esistenza è confermata anche da fonti assire, le quali registrano l’attivismo di un tale Mittaa (Mitâ), regnante su Moshki o Mushki (Frigia) tra il 718 e il 709 a.C.

Re Mida tomba in Frigia

Ragionando sempre sulle fonti storiche a nostra disposizione, si riesce ad estrapolare qualche informazione persino da Eusebio di Cesarea, scrittore cristiano vissuto tra III e IV secolo d.C. Nel suo Chronici Canones, Eusebio parla esplicitamente di un sovrano di nome Mida, che dal 740 al 695 a.C. regnò sul popolo dei Frigi, conducendoli nell’età dell’oro.

Soffermandoci sulle origini dei Frigi si può intuire il senso del racconto mitico, al quale tra poco vi introdurrò. Oggi si è concordi nello stabilire come i Frigi migrarono in Asia Minore partendo dalla Macedonia e dalla Tracia verso il tramontare del II millennio a.C. Su questo popolo vigeva una fama ben nota nel mondo ellenico e dalla quale potrebbe esser derivato il mito di re Mida. Comune era la convinzione che i sovrani frigi possedessero enormi ricchezze, estrapolate dal territorio sul quale regnavano. Cosa che continuò a valere anche una volta migrati in Anatolia. Basta dare un’occhiata ai racconti greci inerenti i monti auriferi del Pangeo, del Tmolo, del Sipylos o ancora dei fiumi traboccanti di oro e argento, oggi identificato parzialmente nel corso fluviale dell’Ermo (Gediz, Turchia).

Re Mida Silene ubriaco condotto dal sovrano di Frigia

Se questa era il Mida storico, ora è il momento di spendere due parole sul Mida mitico. La versione più nota è quella redatta da Ovidio ne Le Metamorfosi (XI, 85 ss.). Re Mida catturò l’anziano Sileno, dio rustico dell’ubriachezza un tempo precettore di Dionisio. Alla cattura tuttavia non seguì una vera e propria prigionia. Mida organizzò feste e banchetti in onore di Sileno, al quale forse era legato da un vincolo d’amicizia. Terminate le celebrazioni, Mida riportò Sileno dal preoccupato Dionisio, il quale offrì al sovrano frigio l’occasione di esaudire un desiderio, uno soltanto. Al che Mida pronunciò le seguenti parole: “che tutto ciò che tocchi con il mio corpo si trasformi in oro splendente”.

Re Mida ottenne così il famoso tocco d’oro e lo sfruttò fin da subito; prima volontariamente con gli oggetti piccoli ed insignificanti (rametto di quercia, spiga di grano, mela…), poi in modo involontario con qualunque cosa necessitasse l’utilizzo delle mani. Mida capì di essere finito nei guai quando provò a mangiare e a bere. Pane, vino, carne ed acqua si tramutavano nel metallo prezioso, scontentando il re. La benedizione ora era una maledizione. Affamato ed assetato, Mida supplicò Dionisio di revocare il potere. La divinità accettò, suggerendo a Mida di immergersi nelle acque di un fiume dalle proprietà miracolose: quel fiume era il Pattolo, che sarebbe stato noto ai Greci per le sue riserve aurifere.

Re Mida dipinto di Andrea Vaccaro, 1670 circa

Ora, è interessante chiedersi perché i Greci scelsero un sovrano anatolico, comunque orientale, e non un ellenico per il racconto mitico. Il popolo greco come ben sappiamo aveva un’alta, altissima stima di se stesso. Si considerava differente da tutti gli altri “barbari” perché dedito alla bellezza e all’armonia, pregi che si ricercavano in un equilibrio esistenziale. Secondo i Greci il senso della misura non apparteneva ai regni orientali, eccessivamente sfrontati e bramosi di ricchezza. Attraverso miti come quello di Mida (o di Creso, ricordate?) gli ellenici definivano la loro identità e affermavano la loro presunta superiorità intellettuale.