Dando un’occhiata in giro e leggendo qualche giornale d’epoca, i miei occhi si sono soffermati spesso sul paragone che ognuno (io per primo ricado nella categoria…) cerca di fare con l’antica e misteriosa città di Rama. Vien facile d’altronde, viste le enigmatiche similitudini con Atlantide o le caratteristiche di un passato all’apparenza ancora vivo, punti peculiari che hanno spinto molti ad avvicinare il centro scomparso della Val di Susa con l’immancabile Pompei o ancora, facendo caso a quelle mura che solo dei forzuti ciclopi possono erigere, legando con un filo rosso il Piemonte occidentale con il Peloponneso, Micene per l’esattezza.
Per alcuni versi comprendo l’affabile tentativo di relegare Rama ad un passato tanto remoto quanto sconosciuto, leggendario, mitico. Per altri aspetti però mi piace pensare al soggetto valsusano come una cosa a sé, tipicamente nostrano, lontano da pregevoli – e talvolta scomodi – raffronti. Premesse a parte, chi ha aperto l’articolo l’ha fatto per curiosità, non per una cantilena bella e buona, perdonatemi. Perciò di cosa stiamo parlando? La città di Rama si sviluppa in un tempo non meglio definito, antico senza dubbio. Forse precedente alla comparsa della scrittura in quell’Oriente mesopotamico di cui tanto adoriamo parlare. Preistoria quindi, che trae origine geografica dalle pendici del Roc-Maol, il nome antico per indicare il massiccio del Rocciamelone, Alpi Graie.
A svelarne la posizione non è una conoscenza diffusa e trasmessa oralmente, ma una cartina postuma (rispetto all’antico insediamento, ovvio) del 1764. Tale pezzo di carta ci dice come all’interno di un triangolo immaginario, i quali vertici sono rappresentati dai comuni di Bussoleno, Chianocco e San Giorio di Susa, avremmo potuto trovarci l’ignota città. Un luogo mistico, anzi, mistico per eccellenza, visto il velo leggendario che copre tanto il natale di Rama quanto la sua inevitabile dipartita.
Nata chissà quando dalla discesa in terra di una divinità, Fetonte, il quale avrebbe trasmesso le conoscenze astrali agli abitanti di quest’angolo remoto della Val di Susa grazie ad una ruota d’oro. Morta perché un alluvione catastrofico ne cancellò le tracce materiali (o almeno larga parte di esse). Rama fu la casa di una comunità di sciamani e guaritori, donne e uomini in perenne contatto con la natura circostante. Anzi, l’esperienza umana trascendeva da quella ambientale, un legame innato che se reciso avrebbe comportato il termine ultimo della vita comunitaria.
Leggenda che, a suo modo, sopravvive ancora oggi. Come spiegarsi altrimenti l’esistenza delle mura gigantesche nascoste dagli arbusti e “assediate” dal muschio? Come trovare una ragion d’essere ad una civiltà fautrice di autorevoli fortezze, che si avvicinarono per struttura e composizione al modello sudamericano (peruviano).
E quella macchia verde che la tradizione locale chiama Bosco del Maometto? Un’area dal sentore magico, in cui si possono trovare delle edificazioni a secco dalle forme assolutamente irregolari. Un posto mistico, come dicevamo in precedenza, in cui alcune cavità sembrano aver conosciuto la mano dell’uomo invece che della natura. Bassorilievi dalle maomettiane fattezze e strani massi circolari alimentano la voce leggendaria di Rama. Sì, per molti è l’Atlantide valsusana, piemontese, italiana (fate voi) ma per chi la vive (non io che mi trovo molto più a sud) è uno spazio intriso di tradizione e folclore, uno spazio da preservare e di cui andare fieri.