Il 5 maggio 1936, l’ingresso delle truppe italiane del generale Badoglio nella capitale etiope Addis Abeba concludeva con la vittoria italiana la Guerra di Etiopia. La conduzione da parte italiana del conflitto contribuì con decisione alla demolizione del mito degli “italiani brava gente”. Il breve governo italiano dell’Abissinia, durato appena 5 anni, si condì infatti di crimini di guerra, sanguinosi eccidi e violento razzismo. Ma procediamo con ordine.
La velleità imperialista aveva portato anche l’Italia a stabilire nel continenti africano, così come avevano agito le altre grandi potenze europee dell’epoca. Tuttavia, essendo arrivata tardi alla colonizzazione, era riuscita solo a racimolare qualche territorio lasciato libero dagli altre nazioni colonizzatrici: Libia, Eritrea e Somalia. Incastonato fra questi ultimi due possedimenti, giaceva un’esteso stato dalla storia assai antica che fu capace di mantenersi indipendente: l’Impero Etiope. L’Italia aveva già provato ad occupare l’Etiopia, ma aveva subito una rovinosa disfatta ad Adua nel 1894 ed era stata costretta a desistere dal progetto. Almeno fino agli anni Trenta, quando il Regime, fomentato da un rinnovato spirito imperialista e da una volontà di vendetta per la cocente sconfitta di fine Ottocento, decise di ritentare l’impresa. Ovviamente, la campagna ebbe anche una forte valenza propagandistica interna.
Le operazioni militari furono di breve durata: apertesi nell’ottobre 1935, si conclusero nel maggio 1936. In seguito alla già citata occupazione di Addis Abeba, si parlò di una “riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma”, con un chiaro riferimento ai fasti di Roma Antica. Il re Vittorio Emanuele III di Savoia aggiunse ai titoli già detenuti quello di “Imperatore di Etiopia”, nonostante il legittimo monarca abissino Hailé Selassié continuasse a proclamarsi tale dall’esilio.
La pomposità della rapida vittoria nascondeva però, come accennato in precedenza, pagine assai oscure della storia italiana. Il Regime non esitò a consentire l’utilizzo di ogni tipo di arma, compresa quella chimica, contro un esercito privo in gran parte di equipaggiamenti e addestramento moderni. Anche dopo la fine della guerra, proseguirono i soprusi nei confronti della popolazione locale, conditi da un violenti razzismo. Un episodio particolarmente sanguinoso avvenne nel 1937, quando il generale Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia, in seguito ad un attentato fallito contro di lui, organizzò una ferocissima rappresaglia. Uomini, donne, bambini e anziani furono oggetto di brutali massacri: alcuni addirittura falcidiati a colpi di bombe. Dinnanzi a tali e tante altre angherie, bisogna quindi fare i conti con un passato scottante. Un passato che troppe volte si è cercato di nascondere dietro una patina di fallace innocenza.