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Può una partita di calcio scatenare una guerra? Chiedetelo ad El Salvador ed Honduras

Può una partita di calcio scatenare una guerra? Chiedetelo ad El Salvador ed Honduras

Dal 14 luglio al 18 luglio 1969 un vero e proprio conflitto armato rese incandescente la regione dell’America centrale. El Salvador e Honduras scesero in guerra; uno scontro di breve durata ma dall’intensità spaventosa, causa di morte per migliaia di persone da una parte e dall’altra. Nulla di sorprendente – potrebbe dire qualcuno – se non fosse che le ostilità scaturirono da una semplice, ordinaria ed innocua (solo all’apparenza) partita di calcio.

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Le selezioni calcistiche di Honduras ed El Salvador si affrontarono per ben tre volte in tre settimane nel giugno del 1970. Il trittico di match era valido per la qualificazione ai mondiali di Messico ’70. Le due nazionali si spartirono la posta in gioco nei primi due round che, a dire il vero, ebbero luogo in un contesto di altissima tensione e disarmante violenza. Atteggiamenti che riflettevano perfettamente lo stato delle relazioni tra i due paesi mesoamericani.

La terza gara si disputò su terreno neutrale, nel maestoso Stadio Azteca di Città del Messico. Al 90′ minuto l’arbitro fischiò la fine dei tempi regolamentari: il risultato era inchiodato sul 2-2. A deciderla, per la gioia di San Salvador e dintorni, fu “el Pipo” Rodríguez che portò i suoi sul 3-2, risultato cristallizzato al termine della gara. I giocatori sul campo si strinsero la mano e si avviarono verso l’uscita. Tre settimane dopo sarebbero scesi su un altro campo, quello di battaglia.

partita di calcio squadra

Come è possibile? Davvero una partita di calcio ha provocato una guerra tra due stati? La guerra del calcio – come poi l’avrebbe battezzata Ryszard Kapuściński, un giornalista polacco di stanza in Honduras – in realtà con lo sport più bello del mondo (sono di parte, lasciatemi in pace) ebbe poco a che fare. E allora chiediamoci, cosa erano Honduras ed El Salvador prima del 14 luglio 1969?

Partiamo dalla seconda citata. La Repubblica di El Salvador, bagnata dalle splendide acque del Pacifico, era ed è ancora oggi una piccola nazione dell’America centrale. Per intenderci, le sue dimensioni sono comparabili a quelle del Galles. Al tempo degli eventi, sebbene apparisse come una repubblica presidenziale dai connotati simil-democratici, nel concreto a detenere le redini politiche ed economiche del paese era un piccolo gruppo di proprietari terrieri e militari di carriera. I salvadoregni meno abbienti, ossia la maggioranza della popolazione, contavano poco o niente nel dibattito politico nazionale.

partita di calcio mappa centro America

Che dire dell’Honduras: cinque volte più esteso della controparte salvadoregna, ma con un numero di abitanti inferiore (2,3 milioni contro i 3 milioni tondi di El Salvador nel 1969). Situazione interna del paese con capitale Tegucigalpa che non differiva da quella dei vicini affacciati sul Pacifico; anche qui era un pugno di uomini a potersi dire effettivamente al vertice dello stato.

La disparità di risorse e spazi comportò per tutto il XX secolo un flusso migratorio da ovest verso est, da El Salvador verso l’Honduras. Non si finiva lì per caso: nel paese vi era una buona concentrazione di multinazionali (tutte intrecciate con il governo statunitense) che garantivano occupazione e salari tutto sommato accettabili. Insomma, si finiva in Honduras per lavorare e più di 300.000 salvadoregni intrapresero quella strada. Come sempre accade in casi del genere, se la migrazione ad alcuni appariva come la scelta migliore per un futuro auspicabilmente più roseo, per altri era una seccatura da dover scongiurare. Questi “altri” avevano un’identità ben definita. Essi corrispondevano a tutti quei contadini honduregni che lottavano quotidianamente contro l’élite al potere per ottenere più terra da poter lavorare.

partita di calcio migranti salvadoregni

Fu così che il governo di Tegucigalpa avanzò una serie di proposte intese come una riforma generale del settore agrario. Queste non sortirono chissà quale effetto e anzi, aggravarono una situazione già di per sé delicatissima. In poche parole il governo honduregno, per non scontentare ancor di più i contadini nati in Honduras, espropriò o confiscò le terre guadagnate col sudore dagli immigrati salvadoregni negli anni precedenti. Significava lasciare senza lavoro all’incirca un decimo della popolazione residente in Honduras. Non contento, il presidente-dittatore dell’Honduras Oswaldo López Arellano costrinse la maggior parte di coloro che non erano nati in Honduras a lasciare il paese, pena l’arresto.

Deportazioni senza se e senza ma che l’esecutivo di San Salvador non seppe gestire al meglio. I ricchi latifondisti salvadoregni misero alle corde il presidente Fidel Sánchez Hernández e gettarono benzina su una stampa nazionale già infuocata. Qualcuno, o meglio, più di qualcuno invocava l’intervento militare.

partita di calcio

La situazione fin qui presentata fece da contorno a quella fatidica partita di calcio che ebbe luogo il 27 giugno allo Stadio Azteca di Città del Messico. Del post partita ho volutamente omesso un dettaglio. Perché sì, le squadre si scambiarono un saluto in segno di sportività, salvo poi divedersi logicamente in vittoriosi che esultano e sconfitti che chinano il capo e pensano alla prossima partita. Eppure è sugli spalti che accadde di tutto. Gli honduregni tentarono in ogni modo di venire alle mani con i tifosi avversari. Morale della favola, ci furono scontri nei settori adiacenti e all’infuori dello stadio. Sembrava guerriglia urbana e la polizia messicana non seppe agire di conseguenza.

La stessa sera del 27 giugno, Honduras ed El Salvador interruppero le relazioni diplomatiche. Esiste ancora oggi un acceso dibattito su chi lo fece per primo, ma a noi interessa poco. Nei giorni successivi alla partita di calcio, il confine tra i due stati divenne un inferno, con colpi di arma da fuoco e temporanei sconfinamenti. Chi varcò per primo il Rubicone fu El Salvador, il quale formalizzò la dichiarazione di guerra il 14 luglio 1969. Sarebbero seguite cento ore circa di pura e insensata ostilità. A riprova del fatto che si trattasse di una guerra insolita e “minuta”, basti dare un’occhiata agli aerei da combattimento salvadoregni che sorvolarono i cieli dell’Honduras. Si trattava di residui scadenti della Seconda Guerra Mondiale. Seguirono tuttavia dei bombardamenti e delle conseguenziali morti.

partita di calcio arei El Salvador

Gli USA cercarono di mediare e, vista l’ascendente che Washington vantava sulle due “Repubbliche delle Banane“, ambo le parti sottostettero al diktat americano. Si concordò un cessate il fuoco per il 18 luglio. In quattro giorni erano morte più di 3.000 persone, per lo più civili honduregni. El Salvador ritirò le truppe solo in agosto, tra l’altro sotto pressione internazionale. Le due nazioni si guardarono in cagnesco per oltre un decennio, sottoscrivendo un trattato di pace solo il 30 ottobre 1980.

Scelgo le parole del professor Mo Hume dell’Università di Glasgow per dare un quadro della situazione post bellica. Egli afferma: “Le questioni socioeconomiche più grandi che erano parte integrante della guerra del calcio sono state la causa ultima della guerra civile in El Salvador dal 1979 al 1992”. Per inciso, si tratta di un conflitto che ha causato non meno di 70.000 vittime.

Esistono ancora oggi palpabili tensioni tra El Salvador e Honduras. Le dispute di confine continuano benché sia in vigore una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sulla questione. Ecco come una guerra, in un passato neppure così remoto, scoppiò (anche) per una partita di calcio.