Il ’68 è un anno particolarmente famoso a livello internazionale per fibrillazioni sociali e movimenti di protesta. Si sentiva che qualcosa stava cambiando, che qualcosa bolliva continuamente in pentola. Dai movimenti studenteschi a quelli pacifisti, un passo importante è quello dello sport, in particolare delle Olimpiadi di Messico ’68. Ma cosa successe durante questo evento?
Per capire a fondo l’avvenimento principe dell’articolo odierno dobbiamo esaminare, anche se brevemente, la situazione socio-politica americana del secondo XX secolo. Sebbene le leggi segregazioniste non esistessero più, le discriminazioni contro i neri continuavano imperterrite e preoccupanti. Il Ku Klux Klan agiva nell’ombra e le morti, o comunque situazioni di discriminazione anche grave, erano continue. Le condizioni economiche degli afroamericani erano, per giunta, pessime.
I corridori, di origine afroamericana per l’appunto, Tommie Smith e John Carlos si fecero quindi latori di un messaggio importantissimo: Niente più razzismo, niente più discriminazioni. Il 16 ottobre del 1968, al quarto giorno di Giochi Olimpici, sul podio di Città del Messico (Tommie primo classificato e John terzo), i due alzarono un pugno guantato di nero in aria e abbassarono lo sguardo a terra con l’inno americano che riecheggiava in sottofondo.
Il gesto era carico di significati. Non fu un simbolo pionieristico ma ripreso dai movimenti di Black Power, fa cui i famosi Black Panthers. Tommie, primo uomo a scendere sotto i 20 secondi nei 200 metri piani (con un tempo di 19”83) aveva portato con sé entrambi i guanti, mentre John, preso dall’ansia della prestazione e dalla foga della futura protesta, li dimenticò. L’amico e compagno di proteste gliene diede dunque uno dei suoi. Ecco perché alzarono al cielo pugni diversi.
I guanti erano diversi, ma la causa per cui combattevano era identica. Ma non tutti la recepirono come un messaggio positivo. I due furono infatti espulsi dal villaggio olimpico e banditi dalle successive competizioni che avrebbero avuto luogo nei giorni successivi. Addirittura un altro afroamericano, Willie Davenport, ostacolista e campione olimpionico disse “Sono venuto per vincere una medaglia d’oro, non per parlare del Black Power“.
Col passare del tempo, e per fortuna, la situazione cambiò radicalmente. Ad oggi il gesto rappresenta un grande coraggio d’animo e la voglia di manifestare liberamente le proprie idee. Il famoso senno di poi aiutò i due campioni e la rivalutazione della loro protesta che resterà per sempre scritta nella storia.