Prendetevi un momento e pensate attentamente agli assedi più lunghi della storia, ragionate su quelli che conoscete. Quanto saranno durati? Andando in ordine di tempo, dall’immediato passato a quello più remoto, mi viene da dire Sarajevo, durato la bellezza di quattro anni. Impossibile non citare Leningrado, che imperversò dal 1941 al 1944. In età moderna si assisté agli estenuanti assedi di Candia, 21 anni dal 1648 al 1669, o a quello di Ceuta che, per carità, fu lunghissimo – dal 1694 al 1727 – e tuttavia contraddistinto da intervalli e ampie pause. Nel Medioevo assedi prolungati nel tempo si contano sulle dita di una mano, mentre nella più lontana antichità si torna ad esagerare. Un esempio su tutti: Ashdod. Architettato dal faraone Psammetico I e durato ben 29 anni, dal 664 al 635 a.C., l’assedio della città-stato filistea si merita quantomeno una menzione d’onore nella lista precedentemente stilata.
Per capire come si giunse ad un assedio del genere, è necessario addentrarsi nella storia delle intricate relazioni tra l’Egitto del Nuovo regno e l’Impero Assiro, della riscossa dei primi a discapito dei secondi grazie al sovrano Psammetico I e del contesto politico-militare del Medio Oriente tra VIII e VII secolo a.C.
Partiamo proprio dal faraone, perché attraverso il suo attivismo comprendiamo a pieno il periodo di rinascita che visse il regno d’Egitto. Appartenente alla XXVI dinastia, anche detta saitica, Psammetico salì al trono (forse) nel 664 a.C. e vi restò a lungo, molto a lungo, per ben 54 anni fino al 610 a.C. Senz’altro uno dei faraoni più significativi della storia egizia. Colui capace di tirare fuori il regno dalle grinfie del disordine e della frammentazione interna. L’uomo che ripristinò lo status di grande potenza nel mondo allora conosciuto. Ve ne era assolutamente necessità, viste le acque torbide in cui il grande stato nilotico aveva nuotato sino ad allora. L’Egitto che salutava l’VIII secolo e che entrava nel VII secolo a.C. era un regno afflitto dal malgoverno di sovrani fantocci imposti dalla potenza allora egemone: gli Assiri.
L’ennesimo dei re marionetta doveva essere, almeno sulla carta, Psammetico I. Inizialmente gli Assiri lo imposero come governatore del Sais. Ebbero modo di riscontrare in lui una certa leadership e un’intraprendenza tutt’altro che irrilevante. Psammetico strinse velocemente ottimi rapporti con i mercenari greci (ai quali poi regalò una perla come Naucrati, ne abbiamo già parlato in un precedente articolo) e con l’establishment egizio. Alleanze proficue, perché forte di un consenso interno il governatore (poi re) riuscì a scacciare lentamente gli Assiri dalle terre bagnate dal Nilo.
Tutto ciò accadde in un periodo storico ben delineato: all’avvicinarsi della metà del VII secolo a.C. l’impero con capitale Ninive vedeva i suoi confini minacciati da emergenti forze regionali (coalizioni tribali a sud, rivolte caldee e sollevazioni in Levante, non ultimo l’Egitto). Psammetico I non fece altro che capitalizzare su questo periodaccio per gli Assiri. Presa la doppia piuma (simbolo della regalità egizia), il faraone impegnò quasi tutte le sue forze con lo scopo di espandere l’influenza del Nuovo Regno oltre la valle del Nilo, in special modo lungo le coste del Mediterraneo orientale. Questa la direttrice cardinale del regno d’Egitto pienamente entrato nel periodo tardo (dal 672 a.C. al 332 a.C.).
Qui si inserisce Ashdod e il lunghissimo assedio che l’attendeva. Ashdod faceva parte della pentapoli filistea; uno dei centri economici e commerciali più dinamici del Levante. Roccaforte strategicamente cruciale nella regione, perché attraverso il suo controllo si potevano dominare le rotte commerciali e militari che dalla costa orientale mediterranea si ramificavano verso la Mesopotamia, il Vicino Oriente e l’Egitto. Ancora nei primi decenni del VII secolo a.C. le città filistee, tra cui Ashdod, rispondevano delle proprie decisioni al padre-padrone assiro. Quando quest’ultimo entrò in crisi come appena detto l’Egitto fece il suo prepotente ingresso in scena.
La città-stato di Ashdod non accettò a cuor leggero il dominio degli Assiri. In numerose occasioni si ribellò, pur non trovando mai la via dell’indipendenza e subendo delle repressioni sanguinose. Cocente era ancora la disfatta del 711 a.C., quando la cosiddetta rivolta di Yamani fu violentemente stroncata dagli eserciti spediti da Ninive. Psammetico intendeva far leva su questo fattore, agitare gli animi popolari della città filistea contro l’oppressore mesopotamico. Anche grazie a questa prospettiva dobbiamo inquadrare il senso dell’assedio architettato dal faraone e dai suoi generali. Dell’episodio ci parla nientemeno che Erodoto, l’unica fonte letteraria di cui possiamo disporre. Se desiderassimo altri riscontri storici sull’evento quasi trentennale, dovremmo far affidamento a sporadici ritrovamenti archeologici nella regione. Oltre ciò, il nulla cosmico.
Il resoconto del padre della storia è molto breve in realtà, ma spinge su un punto in particolare: la determinazione di Psammetico I nel voler catturare la città situata oggi nello Stato di Israele. Lo storico greco afferma come, seppur di una durata spropositata, l’operazione militare egizia fosse contraddistinta da innumerevoli fasi. Alcune di queste improntate al blocco dei rifornimenti, altre votate all’attività bellica vera e propria, altre ancora chiaramente incentrate sulla diplomazia. La combinazione di talune tattiche giovò, ma sul lungo periodo, visto anche l’atteggiamento coriaceo dimostrato dalla guarnigione assira e dai contingenti armati inviati in loco da Ninive per rompere l’assedio egizio.
Dopo 29 anni la città-stato filistea capitolò e Psammetico poté fare il suo ingresso trionfale attraversando le mura martoriate. Il faraone creò così una testa di ponte nel Levante e mandò un messaggio forte e chiaro agli altri contendenti. L’Egitto era tornato e a tutti gli effetti era una forza con la quale fare i conti.