Ludovico Incisa di Camerana, sottosegretario di Stato alla Farnesina, due volte incaricato dell’ambasceria italiana, prima in Venezuela nel quinquennio 1980-85, poi in Argentina dall’85 fino al ’91, fu uno dei più grandi conoscitori dell’America latina moderna e contemporanea. Il diplomatico e saggista cagliaritano, venuto a mancare nel 2013, fu autore di un libro veramente valido, intitolato I caudillos. Biografia di un continente. Approfondendo le ragioni storiche che hanno condotto il Brasile, ovvero il più esteso degli Stati sudamericani, ad essere quello che è oggi (in termini politici, e poi economico-sociali), Incisa di Camerana chiama in causa i Bandeirantes.
Nel leggere il termine mi è venuto un dubbio, puntualmente sciolto dall’autore. Mi sono chiesto infatti chi fossero e perché ancora nel presente la loro figura fosse avvolta da un alone quasi leggendario. Bene, l’articolo a cui vi sto introducendo è la risposta a questa mia curiosità.
Quando nei primi anni del XVI secolo i portoghesi giunsero sulle coste dell’odierno Brasile, decisero di attenersi a delle precise modalità di colonizzazione e sfruttamento del territorio. Perciò esploratori, soldati, amministratori delegati da Lisbona – e più in generale chiunque detenesse un potere di comando nel Nuovo Mondo – si dedicarono alla costituzione di centri urbani di matrice coloniale (sparsi lungo la costa). Di conseguenza alla creazione di importanti scali commerciali, da e per i quali far passare merci e, perché no, schiavi. Una delle prime realtà cittadine a svilupparsi fu San Paolo. La città si trovava entro i confini della Capitaneria di São Vicente dal 1534 al 1709, poi divenuta Capitaneria di San Paolo fino al 1821.
Da San Paolo si sviluppò rapidamente la tendenza ad oltrepassare i rilievi collinari che davano verso l’entroterra. Ciò per addentrarsi nella natura più oscura e selvaggia, a caccia di nuove opportunità. La “tendenza” scaturiva in parte da una necessità strettamente correlata allo schiavismo praticato dai coloni portoghesi. Costava molto meno sfruttare manodopera locale (schiavi nativi) che procurarsela dagli scali portuali dell’Africa occidentale.
Ecco che sempre più “avventurieri” iniziarono ad addentrarsi nelle vaste e brulicanti aree verdi verso ovest, nell’Amazzonia. Questi uomini presero prima il nome di “Paulistas” (perché provenienti da San Paolo), salvo poi essere rinominati dalla letteratura lusitana sei-settecentesca “Bandeirantes“, che tradotto suona come “porta bandiere”. Il termine deriva dal portoghese bandeira: un gruppo di soldati, un’unità militare distaccata o una squadra dedita alla perlustrazione/razzia.
Dato che ho introdotto l’argomento facendo riferimento al saggio di Ludovico Incisa di Camerana, mi sembra corretto citarlo per un’ulteriore delucidazione. Nelle sue parole:
«Il bandeirante è il comandante della bandeira, una compagnia che si addentra nell’interno in cerca di miniere d’oro e di preziosi, nonché di manodopera india da trarre in schiavitù. Nasce a San Paolo, nel Sud del Brasile coloniale prima della fine del secolo XVI. […] Diventerà così numerosa e complessa da meritare la definizione di città in marcia, di ‘nazione nomade, solidamente organizzata su una base autocratica e guerriera’. Del suo apparato fanno parte cappellani, scrivani, ossia funzionari, ufficiali di polizia e di giustizia».
L’esplorazione dell’entroterra ebbe delle ripercussioni anche sul piano politico-diplomatico. Mappando l’interno della colonia, il Regno di Portogallo fu in grado di rivendicare terre che superavano la linea di demarcazione tracciata col trattato di Tordesillas (1494). In un certo senso quell’atteggiamento propositivo (nell’ottica portoghese, chiaramente) gettò le fondamenta di quello che oggi è il Brasile indipendente. Ma ad un prezzo carissimo. Perché sì, è vero che avanzando i Bandeirantes costruivano avamposti, tracciavano strade, realizzavano rudimentali ma necessarie infrastrutture. Tuttavia ogni chilometro percorso verso ovest si traduceva talvolta in massacri indiscriminati a danno delle popolazioni indigene se non uso coercitivo della forza per fini schiavistici.
Atrocità e orrori su cui si passava facilmente sopra all’epoca, ma sarebbe scorretto inquadrare i Bandeirantes come una versione lusitana dei Conquistadores spagnoli. Quest’ultimi agivano quasi sempre sotto direttive emanate da un potere riconosciuto e riconoscibile, estensione del volere di Madrid. Invece i Bandeirantes il più delle volte razziavano, accumulavano ricchezze e proprietà in barba alle direttive di Lisbona. Ricapitolando, la bandeira era certamente un’organizzazione di uomini aventi un regolamento interno, un codice di condotta e una pianificazione, nondimeno acquisiva i connotati di una cellula autonoma, perfino anarchica.
Altra differenziazione che contraddistinse i lusitani dai cugini iberici e che va intesa in tutta la sua originalità, riguarda la composizione delle bandeiras. Il dominio spagnolo fondava la sua ragion d’essere sull’affidabilità dei soldati, veri uomini d’armi facenti capo ad un generale altrettanto valido (leggasi i soliti nomi: Hernán Cortés, Francisco Pizarro, Diego de Almagro, Vasco Núñez de Balboa, ecc.). Al contrario tra i Bandeirantes, che non sempre sapevano maneggiare spade e armi da fuoco, non vigevano distinzioni etniche o religiose. Ciò va detto, pur ribadendo che l’obiettivo iniziale era sempre quello di schiavizzare per rimpolpare di manodopera le colture costiere.
A riprova di quanto detto si può chiamare in causa la spedizione di Antônio Raposo Tavares, forse il bandeirante più noto di sempre. Tavares nel 1636 (quando il fine delle spedizioni non verteva più solo sugli gli schiavi, ma anche sulle copiose risorse materiali, tra cui oro e argento) organizzò una bandeira così strutturata: 2.000 alleati amerindi, 900 meticci (mamelucos) e 69 bianchi di San Paolo (Paulistas).
Grazie agli scritti di Antônio Raposo Tavares e di altri comandanti abbiamo contezza di come si svolsero le operazioni di infiltrazione, conquista, razzia e assoggettamento dei villaggi indigeni. I Bandeirantes di solito facevano affidamento su attacchi a sorpresa o inganni accuratamente escogitati. Una tattica comune era quella di travestirsi da missionari gesuiti, spesso cantando la messa per attirare i nativi fuori dai loro insediamenti e attaccarli conseguentemente. All’epoca i gesuiti godevano di buona reputazione presso i nativi perché considerati gli unici, tra i colonizzatori, a trattare i locali con equità. Inoltre, con il più classico degli espedienti del registro divide et impera, gli uomini “mezzi esploratori. mezzi pirati” mettevano le varie tribù l’una contro l’altra lucrando sull’esito degli scontri.
Degna di nota fu la bandeira del 1648-52 guidata dall’onnipresente Tavares. La medesima partì da San Paolo, in prossimità della foce del Rio delle Amazzoni, e giunse a toccare la città di Quito che, solo per intenderci, oggi si trova in Ecuador e allora faceva parte del Vicereame spagnolo del Perù. In quattro anni Tavares e i suoi uomini (1.200 partiti, ritornati 60…) percorsero più di 10.000 km, contando anche il ritorno nella città brasiliana di Belém.
Avviandomi verso la conclusione, vorrei concentrarmi sull’eredità dell’esperienza delle bandeiras, spesso passate in sordina rispetto alle conquistas spagnole. I Bandeirantes furono responsabili della scoperta di ricchezze minerarie e, insieme ai missionari, dell’ampliamento territoriale del Brasile centrale e meridionale. Ricchezze che resero ricco il “piccolo” Portogallo durante il XVIII secolo. Ma gli esploratori-predoni lusitani si resero responsabili anche di molto altro. A loro si dive imputare l’incrinamento dei rapporti tra Lisbona e Madrid. Lo si può affermare non a torto. Di fatto condussero una guerra non dichiarata contro gli indigeni alleati con l’Impero spagnolo e a danno dei missionari gesuiti, protetti dalla corona spagnola.
I trattati di Madrid (1750) e di San Ildefonso (1777) resero ufficiale quello che già era ufficioso da molto tempo. Ovvero che i territori sottomessi dai Bandeirantes erano parte dei possedimenti coloniali portoghesi. Tra Otto e Novecento suddetti personaggi d’età moderna hanno goduto (talora senza giustificazione alcuna) di popolare notorietà. Su di loro sono stati scritti poemi, canzoni, tele. Le città hanno onorato la memoria di alcuni bandeiranti con la costruzione di statue e monumenti. Divennero in poche parole un simbolo dell’orgoglio brasiliano. Le controversie, come previsto, non mancano sul loro conto. Però, portando il tutto sotto una luce storica e non attuale, è graffiante notare come il fenomeno dei Bandeirantes abbia consegnato al modesto – se comparato alle altre potenze europee – Portogallo la colonia sudamericana più corposa e prospera sviluppatasi al di sotto del Rio Grande.