Un harem appartenente all’imperatore cinese, per quanto potesse variare in dimensione, ha sempre mantenuto la stessa conformazione e lo stesso scopo nel corso dei millenni. Garantire eredi alla figura apicale dell’intero sistema imperiale fu una prerogativa sacra in quel lontano paese chiamato Cina, e se ciò avesse comportato lo sfruttamento di così tante donne (e non solo, considerando gli eunuchi e la servitù di corte) poco sarebbe importato. Sembra un discorso crudo, in realtà anche paesi vicini – se non addirittura proclamatisi europei – adottarono un sistema simile. L’esempio ottomano, per chi ci segue da tempo, balza subito alla mente.
Riprendendo quanto detto pocanzi, l’harem cinese si caratterizzò per una rigida piramide gerarchica duratura nei secoli e nei millenni. Una piramide composta da tre figure tipo. Prima di tutto la consorte ufficiale dell’imperatore, a sua volta imperatrice. Considerata madre di tutte le madri, nonché reggente del mondo intero; l’imperatrice aveva una sola occasione annuale per giacere con suo marito. La sua figura, considerata al di sopra di chiunque altro (eccezion fatta per l’imperatore e la madre di quest’ultimo), doveva destare riverenza a corte. Piccola particolarità: le mogli imperiali, una volta vedove, entravano a far parte dell’harem del sovrano successivo.
Nella piramide, scendendo di grado, incontriamo le concubine di alto rango, anche loro dotate di un potere e di una voce in capitolo non indifferente. A seconda della dinastia presa in considerazione, il loro numero variava, ma possiamo fare una stima generica e riassuntiva. In genere si contavano a corte un numero di tre concubine primarie, nove secondarie e ventisette di terzo rango.
Sotto di loro stavano le concubine non ufficiali e gli eunuchi, quest’ultimi fidati servitori (in quanto impotenti, non avrebbero potuto compromettere la discendenza dinastica). Ancora una volta ci ritroviamo di fronte ad un numero variabile. Si passa dal numero di consorti abbastanza moderato, nell’ordine delle decine, della Dinastia Qing, alle 20.000 unità della Dinastia Han (II secolo a.C. – III secolo d.C.).
Non troppo tempo fa vi abbiamo raccontato la storia della leggendaria Wang Zhaojun, analizzando il sistema vigente che comportava la selezione delle concubine. Questo fu introdotto durante la Dinastia Ming (1368-1644 d.C); si trattava di un processo selettivo avente luogo ogni tre anni davanti i cancelli della Città Proibita. Ad entrare erano coloro le quali presentavano un’alta virtù, un carattere affabile e una bellezza degna di un imperatore sacro.
Attraverso le vicende di Wang Zhaojun, abbiamo anche compreso quali fossero allora gli intrighi di corte che vedevano il loro principio proprio nell’harem dell’imperatore cinese. Le donne, in un’epoca in cui si diventava tali veramente dopo poco (la selezione prendeva in considerazione ragazzine poco più che 14enni), le provavano davvero tutte per farsi notare dall’imperatore, assicurandosi un futuro prospero. Una ricerca del potere che scaturì veri e propri colpi di stato (come la leggenda di Wu Zetian, la quale addirittura grazie ad una macchinazione favorevole passò dall’essere concubina ad imperatrice). L’harem cinese fu tante cose, ma soprattutto svolse un ruolo primario nella continuazione dell’istituzione imperiale cinese. Non è banale.