Thibaud de Castillon, Innocenzo VI, Botafoc e Martin Yanes. Su quattro nomi, forse solo uno vi suonerà vagamente familiare. Vi presentiamo i protagonisti di questa storia che, se non fosse per il timbro degli Archivi Vaticani (più precisamente Archivio Apostolico Vaticano), sembrerebbe frutto della smisurata fantasia di chissà chi. Il primo fu vescovo di Lisbona dal 17 marzo 1348 fino alla sua morte, avvenuta il 28 maggio 1356. Il secondo, al secolo Étienne Aubert, magari più noto degli altri, fu altresì vescovo ma di Roma, dal 1352 al 1362. Gli ultimi due nominativi appartennero a due capitani pirati che ebbero un ruolo fondamentale nella vicenda che tra poco cercherò di presentarvi nel modo più chiaro ed esplicito possibile.
Prima di addentrarci nelle oscure pieghe di questa storia, ci tengo a fare una premessa sulle fonti. I documenti che attestano quanto verrà scritto qui di seguito sono in larga parte accessibili (previa richiesta agli Archivi Vaticani, quindi buona fortuna…). Fortunatamente due esperti storici nonché autori letterari di spessore come Daniel Williman – professore emerito alla Binghamton University – e Karen Ann Corsano – dottoranda presso il medesimo ateneo – hanno svolto questo lavoro, di ricerca e raccolta dati, durante l’intero corso del 2014. Un sforzo che ha ripagato, vista la pubblicazione del libro intitolato “The Spoils of the Pope and the Pirates, 1357: The Complete Legal Dossier from the Vatican Archives” (tradotto in “Il bottino del papa e dei pirati, 1357: il dossier completo degli Archivi Vaticani”). Da questo testo che potete tranquillamente trovare in rete ho preso spunto per la realizzazione di questo articolo.
Messe le proverbiali mani avanti sulle fonti, procediamo con il succo del discorso. Thibaud de Castillon, nato non si sa bene quando ma certamente nell’ultimo decennio del XIII secolo, dapprima scalò i ranghi nel mondo ecclesiastico francese, per poi detenere la cattedra episcopale di Lisbona a partire dal 1348. Secondo il resoconto storico, il vescovo di origini transalpine acquisì importanti ricchezze cimentandosi in non meglio definite “attività commerciali” tra il Mediterraneo e l’Atlantico. Facile credere che il metropolita di Lisbona prestasse denaro ad interessi elevati ed investisse in affari commerciali disonesti.
“Governò e sfruttò il vescovado tramite un vicario generale per tre anni. Questo mentre gestiva una collaborazione commerciale con importanti mercanti di Montpellier” scrivono Williman e Corsano. Per legittimare il peccato mortale, Sua Eccellenza Thibaud de Castillon fu autore di “goffi sforzi per fingere che la sua ricchezza in denaro e i suoi profitti appartenessero in realtà ai suoi agenti”. Vista l’eminente posizione del vescovo in Lusitania, dalle parti di Avignone sapevano benissimo cosa stesse accadendo. Il Soglio pontificio comunque decise di chiudere un occhio e attendere che la situazione volgesse in qualche modo a suo favore. L’attendismo avignonese ha destato più di qualche dubbio negli autori del libro, come se qualcosa sospetto “bollisse in pentola“. Sapendo ciò che accadde dopo, viene spontaneo pensarlo. Non corriamo, arriviamoci per gradi.
Come già sottolineato, il ricco vescovo si spense nel 1356. A neppure un anno dalla morte, una nave speciale, la São Vicente, salpò dal porto di Lisbona. L’imbarcazione trasportava oro, argento, anelli, arazzi, gioielli, piatti pregiati e altari: in poche parole l’eredità accumulata dal de Castillon. Il vascello era diretto a Marsiglia, ma da lì il carico avrebbe intrapreso la strada in direzione Avignone, allora sede papale. Ci troviamo ancora in piena Cattività.
La São Vicente non portò a termine il suo tragitto perché al largo di Cartagena (poco prima delle Baleari) due galee pirata l’assalirono. La prima era comandata dal capitano Antonio Botafoc (termine di origine catalana per indicare un’esplosione di fuoco, un petardo) mentre la seconda dall’estroso Martin Yanes. L’equipaggio della São Vicente non ebbe altra scelta che consegnare il tesoro del vescovo de Castillon alle due navi pirata. Quest’ultime si diedero alla fuga, o almeno ci provarono. Yanes e i suoi riuscirono a dileguarsi e a trarre in salvo il bottino (ad oggi ancora smarrito; rarissimo caso in cui conosciamo i 29 manufatti sottratti ma nessuno sa indicare che fine abbiano fatto).
Infelice fu il destino degli uomini di Botafoc. La sua nave si arenò vicino la città di Aigues-Mortes in Francia, e i pirati furono catturati dalla guarnigione locale. Gran parte dei prigionieri finì penzolante sulla forca, ma il capitano e i suoi più stretti collaboratori barattarono tutto il tesoro accumulato per la libertà. Il duo Williman-Corsano si concentra in ultima analisi sulla sorte del bottino. Raggruppate le ricchezze da un prelato del posto, furono inventariate e spedite ad Avignone, su urgente richiesta di Innocenzo VI. Gli stessi beni che il papa francese fece recapitare come dono ai Valois, la famiglia reale francese, ai soldati e al personale avignonese. Tutto ciò in un momento di grave dissesto economico e finanziario…
Dagli Archivi Vaticani nel 2014 è venuta a galla questa storia a dir poco sinistra, per non dire subdola. Gli scrittori fin qui citati sono stati bravissimi nel dare forma all’accozzaglia di informazioni recuperate. Eppure l’affaire de Castillon non è che una goccia in una mare di segreti. Si stima che l’Archivio Apostolico Vaticano contenga circa 13 km di scaffali pieni di documenti sensibili accumulati nel corso dei secoli. Sempre di una perizia approssimativa si tratta, ma non bisogna nascondersi dietro un dito. Sono tante le cose che sappiamo, molte di più quelle di cui non abbiamo minimamente idea.