È l’ottobre del 1915, gli Imperi Centrali hanno ripreso l’avanzata in territorio serbo supportati dalla recente entrata in guerra della Bulgaria. Tedeschi ed imperial-regi spingono da nord, mentre i bulgari, freschi e determinati, avanzano da est in direzione ovest. La manovra a tenaglia costringe i soldati serbi ad arretrare giorno dopo giorno. La popolazione civile, stremata e moribonda, li segue soprattutto dopo la caduta di Belgrado (9 ottobre). Una situazione a dir poco tragica, un destino segnato al quale è impossibile sottrarsi. Lo Stato Maggiore serbo e i pochi consiglieri rimasti raccomandano all’ultrasettantenne Pietro di Serbia, re dal 1903, di andare via e trovare rifugio altrove. “Troppo pericoloso restare” dicono loro; “sarebbe la vostra fine” sostengono. Il sovrano però non ci sta e vuole lanciare un messaggio alle sue truppe, trincerandosi con loro.
La storia che voglio raccontarvi è riportata da diverse fonti dell’epoca, anche se non tutte ufficiali. I bollettini del trasandato esercito serbo riferiscono di una “formale visita del sovrano”, partito da Topola per raggiungere il fronte di Kragujevac e di Niš (capitale provvisoria dopo il 9 ottobre). Che l’ispezione del vecchio Pietro I di Serbia sia effettivamente avvenuta è incontrovertibile (lo dimostrano persino gli scatti fotografici). Sono le modalità dell’accaduto a denotare delle divergenze tra le fonti. Tuttavia l’aneddoto, a mio parere, merita di essere raccontato, perché mai, prima di allora, un sovrano aveva osato prendere il fucile e resistere in trincea assieme ai suoi uomini.
Tra l’ottobre il novembre di quell’anno, mentre un contingente anglo-francese si ammassava in Macedonia – tra il confine serbo-greco – bulgari e serbi si scontravano in due grandi e sanguinose battaglie: ad Ovche Pole e sul basso corso della Morava. Entrambi gli scontri si risolsero in vittorie bulgare, grazie alle quali l’Intesa dovette arretrare fino in Kosovo, dove si sarebbe combattuta un’ultima volta prima della definitiva disfatta serba.
Si dice che il re Pietro, durante lo scontro di Kumanovo, abbia preso personalmente il fucile sparando qualche colpo in direzione del nemico. Così facendo rinvigorì la truppa lì presente, ma non fu abbastanza.
Il “re in trincea” non abbandonò i suoi. All’età di 71 anni guidò la ritirata del suo popolo (fra esercito e civili non vi era più distinzione) sulle montagne dell’Albania, durante un precoce inverno. La marcia dagli altopiani albanesi iniziò il 25 novembre, per raggiungere l’Adriatico a fine dicembre del 1915. Partirono in 200.000, il freddo, la stanchezza e la carestia decimarono quel numero.
Il calvario finì solo nel febbraio del ’16, quando una nave alleata imbarcò l’ultimo gruppo dei 100.000 sopravvissuti. Si sarebbero diretti a Corfù, luogo in cui Pietro di Serbia avrebbe costituito il governo provvisorio, in esilio fino al termine del conflitto. In Grecia i pochi alti ufficiali rimasti in qualche modo riorganizzarono l’armata, la stessa che avrebbe rimpolpato il futuro fronte macedone.