Ogni città, quale più quale meno, porta con sé le cicatrici di un evento storico in cui tutto, ma davvero tutto sembrava andare per il verso sbagliato. Solitamente ci si riferisce a suddetti archi cronologici con la locuzione latina annus horribilis, ideale contrapposizione al ben più noto annus mirabilis. La città di Venezia visse questo anno di (dis)grazia nel 1106, quando terremoti, mareggiate ed incendi misero a rischio l’esistenza stessa della laguna. Singolarissimo sintomo della catastrofe fu la scomparsa di un’isola, elevata col tempo al titolo, scomodo ed inflazionato, di “Atlantide“.
Ma cosa accadde, secondo le fonti, all’alba di quel XII secolo nella Serenissima (mica tanto) Repubblica di Venezia? Essenzialmente si sommò un mix di fattori climatici ed ambientali tali da produrre un cataclisma quasi senza precedenti. Le alte maree, piogge abbondanti e fortissimi venti da sud-est solitamente provocano un allagamento della laguna veneziana. Tuttavia se questi fenomeni, già rinvigoriti per loro conto, finiscono per aggregarsi in un unico momento, non c’è chissà quale via di scampo. In quel 1106 gli abitanti di Malamocco (nota fin dall’antichità col toponimo latino Metamaucum, volgarizzato Metamauco) furono costretti dalle intemperie alla fuga, trasferendosi a Chioggia e tornando solo in un secondo momento su quello che rimaneva del Lido. Infatti le fonti epigrafiche parlano già dal 1107 della rifondazione di Novo Metamauco, odierna Malamocco.
È necessaria una piccolissima digressione, anche se strettamente correlata all’argomento. Malamocco è uno degli insediamenti più antichi della laguna veneta, risalente all’epoca romana. In questo periodo rappresentava nientemeno che il porto di Padova, a cui era direttamente collegata trovandosi sulle foci del Brenta (che anticamente portava il nome di Medoacus Maior, da cui Metamauco).
L’insediamento però assunse i caratteri di un vero e proprio centro urbano con l’arrivo di Attila e degli Unni. Le invasioni barbariche spinsero gli abitanti dell’entroterra veneto verso la laguna. Così nacque Venezia (anche se per la pressione longobarda). Ma in un primo momento a detenere una maggiore rilevanza strategica erano gli insediamenti di origine romana. A testimonianza di ciò, basti ricordare come la capitale del Ducato bizantino di Venezia tra VIII e IX secolo era proprio Malamocco. Un primato che cessò di esistere quando il doge Angelo Partecipazio trasferì il governo sulle isole realtine, più facili da difendere.
Qui subentra la leggenda. Poiché dal IX secolo in poi l’antica Malamocco andò progressivamente spopolandosi (quindi la catastrofe del 1106 non sarebbe altro che l’acceleratore di un fenomeno già in corso) e il suo porto (probabilmente diretto verso la laguna, meno plausibilmente affacciato sul mare) smise di essere così centrale, sempre maggiori porzioni del Lido finirono sotto l’impeto della marea. Con l’inabissamento della sezione portuale, si svilupparono delle dicerie popolari che in parte sussistono ancora oggi. Secondo le medesime, nelle giornate più limpide e di bassa marea, guardando l’Adriatico si possono intravedere i resti sommersi dell’antica Malamocco. Leggenda si è detto non a caso, ma sono in tanti a ricercare quelle rovine ancora oggi.
Oltre all’Atlantide veneziana di platoniana memoria, il 1106 fu concretamente un anno orribile per la Serenissima. Incendi si moltiplicarono in primavera, devastando più di 25 parrocchie, considerando tutti i sestieri. Le fiamme riuscirono addirittura a propagarsi da una riva all’altra del Canal Grande, incenerendo i ponti costituiti allora rigorosamente di materiale altamente infiammabile (la sottostante raffigurazione quattrocentesca del vecchio Ponte di Rialto in legno è abbastanza eloquente).
L’annus horribilis fece capire all’amministrazione cittadina una cosa: niente più legno! Le nuove case sarebbero state tutte in pietra. Per l’edificazione di chiese da allora si scelsero quasi esclusivamente mattoni rossi, le famose altinelle. In fin dei conti, da questa storia si ricava la solita – e apparentemente sempre valida – morale per la quale solo chi tocca il fondo può rialzarsi e splendere di nuova luce. Venezia in quel 1106 fatto di maremoti, venti insostenibili ed incendi, toccò veramente il fondo.