Gli antichi sovrani d’Egitto non erano “semplici” uomini al vertice di un regno. La loro natura era considerata divina perché essi altro non erano che l’incarnazione terrena degli dei. I nomi che adottavano al momento dell’investitura reale incarnavano esattamente questo status privilegiato, oltre che a simboleggiare il ruolo sociale del faraone e il suo legame inscindibile con il cosmo. All’incirca dalla V dinastia (Antico Regno, 2500 – 2350 a.C.) abbiamo modo di credere (aiutati da ritrovamenti archeologici di primissimo livello) che i sovrani d’Egitto disponessero di una titolatura regale costituita da cinque nomi, noti altresì come Grandi Nomi. Nei seguenti paragrafi analizzeremo nel dettaglio ognuno di questi.
Nome Horus – Il nome più antico, e certamente più rinomato della titolatura, era quello del dio-falco Horus, talvolta designato come Nome Ka. Suddetto appellativo si trova inscritto all’interno di un serekht (cornice nella quale è inserito un simbolo comune per indicare uno specifico sovrano). Interpretazione univoca di quest’ultimo non esiste: alcuni pensano si tratti di un simbolo legato alle mura di una città o di un palazzo; altri si soffermano sulla somiglianza con un eventuale ingresso tombale. A sovrastare la cornice vi è un falco, trasposizione di Horus e simbolo di regalità, protezione e autorità divina.
Nome Nebty – Dopo Horus era il turno del Nome Nebty o “Nome delle Due Signore”, che sottolineava l’associazione del faraone con le dee del pantheon egizio. Suddette divinità femminili erano rappresentate da un avvoltoio (Nekhbet) e da un cobra (Wadjet). Con il Nome Nebty il sovrano affermava il proprio ruolo di unificatore, tanto del Basso con l’Alto Egitto, quanto del mondo intero.
Nome Horus d’oro – Esso sottolineava la discendenza e l’eredità reale del faraone. Solitamente incorporava il nome della dinastia o della famiglia del re ed era accompagnato da epiteti che denotavano potere, grandezza o favore divino. Tuttavia sul Nome Horus d’oro gli studiosi dibattono e parecchio anche. Non esiste convergenza di prospettive accademiche, soprattutto sul significato che l’oro può assumere se accostato al dio Horus. La questione è particolarmente “calda” per via della centralità che il nome comportava: Ramses II, uno dei faraoni più grandi della storia egizia, faceva inscrivere il suo nome riportando spesso il Nome Horus d’oro.
Nome del trono (praenomen) – Questo titolo veniva assunto dal re all’indomani della salita al trono. Lo si utilizzava nelle iscrizioni ufficiali, nei decreti reali e nella corrispondenza diplomatica. Il praenomen racchiudeva ambizioni, le aspirazioni politiche o militari, la devozione religiosa del sovrano. Per dirla in breve: il Nome del trono era il “programma politico” del faraone. Solo per fare un esempio, il praenomen di Tutankhamon era Nebkheperure, che significa “Il possessore della manifestazione di Ra”.
Nome personale (nomen) – Il più intimo e segreto dei nomi regali. Si trattava del nome di nascita, in grado di riflettere le caratteristiche individuali e identitarie. Raramente esso diveniva di dominio pubblico, essendo relegato alla conoscenza dei familiari più stretti. Nell’Antico Egitto si pensava che conoscere il vero nome di una persona significasse possedere un potere specifico sulla medesima. Persino in famiglia il nomen era preceduto da titoli onorifici quali meri Amon (“amato da Amon”) o neter heka uaset (“potente sovrano della città”, ossia Tebe).
In definitiva, ogni Grande Nome aveva uno scopo distinto, che si trattasse di invocare la connessione del faraone con gli dei, affermare la sua sovranità sull’Egitto o proclamare la sua discendenza reale e i suoi successi. Insieme, questi nomi riflettevano identità e potere, rafforzando la posizione del faraone come intermediario prediletto tra dei e mortali.