Nell’aprile del 1721 a Boston, attraccò la nave Seahorse proveniente dalle Indie Occidentali (ovvero le Isole del Centro America). A bordo questa trasportava, oltre che merci, persone affette dalla più temuta malattia del tempo: il Vaiolo. Allora non esistevano cure se non la quarantena, sia per i singoli individui che venivano isolati all’interno di lazzaretti, che per le navi che attraccavano al porto.
Gli abitanti di Boston, appena saputa la notizia, iniziarono a rifugiarsi dove potevano, lasciando la città in balia di sè stessa. In cinque mesi si contarono più di 100 morti. Tuttavia, i residenti erano abituati a situazioni simili: si trattava, infatti, della sesta epidemia che colpiva la città. Qui viveva Cotton Mather, scrittore e ministro della chiesa, esponente del puritanesimo. Egli possedeva degli schiavi, come di consueto al tempo, tra i quali spiccava Onesimus, che il suo padrone definiva ”Guaramantese”. Forse questo apparteneva al popolo dei Berberi, o forse veniva dal Ghana o dal Sudan.
In ogni caso, al momento dell’acquisto degli schiavi, non era cosa di poco conto chiedere se avessero già contratto il vaiolo, in quanto la malattia immunizza da successivi contagi. Mather, in uno dei suoi scritti riferisce: “Interrogando il mio negro, Onesimus, che è un tipo piuttosto intelligente, se avesse mai avuto il vaiolo, rispose, sia sì che no; e poi mi disse che aveva subito un’operazione, che gli aveva dato qualcosa del vaiolo e che lo avrebbe preservato per sempre; aggiungendo che era spesso usato tra i Guramantesi e chiunque avesse avuto il coraggio di usarlo era per sempre libero dalla paura del contagio“.
Di fatto, Onesimus, stava descrivendo qualcosa di già conosciuto in diverse parti del mondo, la variolazione. Questa consisteva nell’inoculare in una persona sana, attraverso una ferita, l’essudato di un paziente malato non in forma grave. Era una pratica conosciuta in Africa, India e Cina, ma non a Boston. Così Mather cercò di spiegare ai medici della città in cosa consistesse, e quanto avrebbe aiutato la popolazione, ma si ritrovò davanti un muro di ostilità. Da una parte i medici credevano che così facendo si andasse contro i principi stessi della medicina, infettando persone sane. Dall’altra, la Chiesa non accettava che si trovasse una soluzione all’epidemia, essendo questa considerata un evento con il quale il Signore dimostrava la sua collera.
Solo il dottor Zabdiel Boylston decise di credergli e così sperimentò la pratica su suo figlio e su due schiavi, fino ad infettare 242 persone. Da aprile 1721 a febbraio 1722, quando l’epidemia era ormai finita, erano morte 822 persone. Tra le 242 del dottor Boylston, solo 6 sviluppano la malattia con esito mortale. Nonostante lo scetticismo del momento, dato dal fatto che la pratica era considerata pagana e proveniva da terre dove Dio non esisteva, nel giro di qualche anno si diffuse in tutto il territorio.
Boylston si trasferì a Londra e nel 1724 pubblicò i risultati sulla prevenzione del vaiolo e divenne membro della Royal Society. Nel 1721 un’epidemia di vaiolo colpì anche Londra, e qui fu una donna, Lady Mary Montagu, a far conoscere la pratica dell’inoculazione, sperimentata sullo stesso figlio dal medico italiano Jacopo Pilarino.
Di Onesimus se ne persero le tracce, divenne un uomo libero ancor prima dello scoppio dell’epidemia. La città di Boston non fu per niente riconoscente allo schiavo, almeno all’inizio. Solo in seguito, nel 2016, lo inserirono tra “i 100 migliori bostoniani di tutti i tempi“. Nel 1798 l’inglese Edward Jenner sviluppò un vaccino contro il vaiolo, che segnò definitivamente la fine della lotta alla malattia.