L’Università di Münster, impegnata in un ampio progetto di ricerca archeologica nella Turchia sud orientale, ha comunicato in quest’ultime settimane i dettagli di una scoperta davvero eccezionale. Gli addetti allo scavo nel sito romano di Doliche, a 10 km dalla città turca di Gaziantep, si dicono entusiasti per aver riportato alla luce del sole oltre 2.000 nuovi reperti. Vediamo assieme di cosa si tratta.
Grazie alla coordinazione fornita dal Centro di ricerca sull’Asia Minore, gli archeologi dell’università tedesca (una delle più prestigiose, n.d.r.) sono riusciti a mettere finalmente mano su un corposo numero di sigilli romani. Quest’ultimi si trovano nel perimetro di un antico edificio, chiamato dai nostri avi tabularium. Un esempio maestoso di tabularium lo si può riscontrare nel centro dell’eterna Roma, sul Campidoglio; esso assolveva alla funzione di archivio pubblico di Stato.
Il ritrovamento di Doliche è essenziale soprattutto per un motivo: sono rare le occasioni in cui poter analizzare reperti simili. I sigilli permettono un approfondimento sulle tecniche d’archiviazione di un passato così remoto, un campo per certi versi inesplorato sul quale c’è tanto da scoprire, puntualizzare e, perché no, divulgare. Al lato tecnico della vicenda se ne affianca uno prettamente religioso. D’altronde una distinzione così marcata delle due sfere oggi, non si rivelava essere tale per i nostri antenati.
Alcuni dei reperti farebbero riferimento alla divinità conosciuta come Giove Dolicheno, adorato dall’antica città, la quale fu ben lieta di realizzare un maestoso tempio in suo onore. Anzi, gli ultimi studi in tal senso lasciano intendere come l’agglomerato urbano sia nato posteriormente al tempio stesso. Ciò sottolineerebbe ancor di più l’importanza del culto e del dio. Giove Dolicheno fu cosa nota anche nell’Europa centrale durante i secoli centrali dell’impero, per via della diffusione portata avanti dai soldati provenienti dall’Asia Minor.
Nel 253 d.C. il tabularium di Doliche subì la devastazione più totale a causa di un terribile incendio. Le fiamme distrussero gran parte dei documenti romani dell’epoca e i sigilli sopravvissuti non sarebbero altro che una testimonianza “viva” di quell’episodio. Quell’anno fu demolitore tanto per l’archivio quanto per l’impero stesso, in piena turbolenza. Ricordiamo che nell’anno di grazia 253 d.C. si succedettero alla guida dell’impero romano ben quattro personalità. L’ultimo – Valeriano – troverà un minimo di stabilità, se di stabilità si può parlare durante il periodo dell’Anarchia Militare.
Ed è proprio col III secolo che Doliche iniziò a dire addio a bei tempi che furono, con un lento ma inesorabile declino. Questo culminò con un altro incendio, appiccato dai Sasanidi, a danno irreversibile del simbolico tempio. Ma l’archeologia ci fornisce ogni giorno una grande massima: l’aforisma “nulla è per sempre” non è universalmente applicabile, ritrovamenti come questo in Turchia lo dimostrano.