Risale al Paleolitico medio (o inferiore), ha sicuramente più di 200.000 anni ed è forse l’oggetto del suo genere più grande mai ritrovato. L’ascia di pietra scoperta nel nord-ovest dell’Arabia Saudita cambia le regole del gioco, perché stabilisce nuovi record difficilmente ipotizzabili precedentemente. Protagonisti del ritrovamento sono i ragazzi e le ragazze del team di ricerca TEOS Heritage, in collaborazione con l’ente archeologico statale.
Il luogo in cui l’équipe ha segnalato la scoperta è tutt’ora interessato da scavi; questi si estendono per buona parte dell’area di Qurh, zona desertica a sud della città di Al-‘Ula. Da decenni il centro urbano sulla Via dell’Incenso regala grandi soddisfazioni per chi si occupa di ricerca archeologica. L’ascia di pietra è la ciliegina sulla torta, e che ciliegina! Qui di seguito alcuni dettagli specifici inerenti al rinvenimento. Il reperto è in basalto a grana fine, misura 51,3 cm in lunghezza, 9,5 cm in larghezza. Lo spessore si attesta sui 5,7 cm.
L’analisi in laboratorio ha condotto gli esperti ad alcune valutazioni sulla funzionalità dell’oggetto. Esso appare lavorato su entrambi i lati; 200.000 anni fa doveva essere un attrezzo resistente e, in particolar modo, tagliente. Impugnata a due mani, l’ascia paleolitica rientra in un micro-gruppo di manufatti simili, ma non identici.
I responsabili della ricerca, Gizem Kahraman Aksoy e Ömer ‘Can’ Aksoy, hanno rilasciato delle dichiarazioni per contestualizzare i risultati del loro splendido lavoro. Ömer ‘Can’ Aksoy osserva: “L’ascia è uno dei reperti più importanti emersi dal nostro scavo, attualmente in corso nella piana di Qurh. Questo straordinario strumento di pietra è lungo più di mezzo metro ed è l’esemplare più grande di una serie di strumenti di pietra simili scoperti nel sito. Dai confronti che abbiamo effettuato finora non ci risultano manufatti di dimensioni così grandi, quindi questa potrebbe essere effettivamente una delle più grandi asce mai scoperte”.
Cosa ci insegna di nuovo il ritrovamento di Al-‘Ula? Beh, in primo luogo si può evidenziare la centralità abitativa della regione tempo addietro al fiorente periodo islamico. Questa terra conosce la presenza umana da molto più tempo di quanto si potesse pensare. Gli scavi che ogni anno caratterizzano la regione smentiscono progressivamente una teoria speculativa osteggiata dalla comunità scientifica. L’ipotesi (superata da tempo) vedeva l’intera area arabica povera di “fermento” umano e quindi poco appetibile dal punto di vista culturale.
Probabilmente le comunità antiche svilupparono tecniche d’adattamento alle condizioni estreme della regione, garantendo così uno sviluppo tecnologico mai registrato prima nell’area. I ritrovamenti di Qurh, in definitiva, aprono un nuovo capitolo della storia umana, un capitolo che vede come sfondo l’affascinante Deserto Arabico.