Il Giappone nella seconda metà dell’Ottocento è un paese attraversato da fortissimi venti di cambiamento e trasformazione. Si tratta di un luogo in cui la tradizione sta lasciando il passo al progresso, non senza spargimenti di sangue. In tal contesto, al quale convenzionalmente ci riferiamo come “Restaurazione Meiji”, spicca la figura di Nakazawa Koto, non una donna qualunque.
Prima di introdurre la sua storia ci tengo a mettere le mani avanti. Le vicende che la vedono protagonista sono scarsamente riportate in rete. Informazioni sul suo conto (persino in inglese!) sono scarne e poco approfondite. Segno del fatto che questo piccolo spaccato del trascorso nipponico in larga parte rimane vago, quasi evanescente in termini di fonti e documentazioni attendibili. Mi perdonerete la premessa, ma l’onestà in questi casi è necessaria al fine di non incappare in scomode e fastidiose problematiche di carattere narrativo/divulgativo.
Non una donna qualunque, dicevamo. Per comprendere come e perché, bisogna cominciare dalla radice, dal momento in cui tutto è iniziato. Le fonti giapponesi riportano solo l’anno di nascita di Nakazawa Koto, il 1839, ma non il giorno né il mese. Si sa come mosse i primi passi nell’arcaica provincia di Kōzuke (odierna prefettura di Gunma, regione del Kantō, Giappone centrale) e che fin da giovanissima si distinse nelle arti marziali, in special modo nel Kenjutsu. La sua abilità con la naginata (tipica arama inastata costituita da una lunga lama ricurva monofilare) era di gran lunga superiore a quella del padre, suo primo mentore ed istruttore. Probabilmente ciò le infuse una bella dose di coraggio e spavalderia, altrimenti non si spiegherebbe l’avventura del 1863.
In quell’annata una Nakazawa vestita da uomo seguì suo fratello a Kyoto, in quanto membro del Rōshigumi, ossia un gruppo di 234 samurai senza padrone (anche noti come rōnin), apparentemente al servizio del traballante Shōgun. Dico apparentemente perché non appena Nakazawa e suo fratello giunsero nella città imperiale l’ordine dei samurai si sciolse per volontà del suo fondatore, dichiaratosi fedele alla fazione imperialista e dunque avverso ai Tokugawa, detentori da più di due secoli della carica shogunale.
Piccolo ma importante inciso: per comprendere al meglio il contesto politico giapponese in questi anni così critici consiglio la lettura degli articoli realizzati in merito. Se di vostro gradimento, qui troverete quelli sulla Restaurazione Meiji, sull’istituzione dello shogunato Tokugawa e sull’espansionismo giapponese agli albori del Novecento.
Superata la seconda digressione, torniamo alla nostra vicenda. All’epoca Nakazawa Koto aveva 24 anni ed era alta poco più di 1.70 m, decisamente più della media femminile, che si attestava sul 1.47 m. Anche il fattore altezza, assieme a quello attitudinale, aiutava a confondere quanti credevano che dietro l’armatura si nascondesse un uomo e non una validissima donna. Terminata l’effimera esperienza del Rōshigumi, la guerriera tornò a Edo e fondò un altro gruppo schieratosi dalla parte dello Shōgun.
Nei successivi cinque anni Nakazawa Koto si distinse come infallibile spadaccina, tanto da guadagnare la stima e il rispetto dei principali ufficiali del bakufu (nessuno dei quali aveva compreso la sua vera identità). Nel 1868 alla dichiarazione imperiale che di fatto sollevava i Tokugawa dall’onere shogunale – solo in un secondo momento scioglieva direttamente la carica – scoppiò la Guerra Boshin. Il conflitto civile si protrasse dal gennaio 1868 al maggio 1869 e vide contrapposte le fazioni filo-shogunale e filo-imperialista. Benché la seconda fosse meno corposa, poteva dirsi avvantaggiata da moderne tattiche militari e un miglior armamento. Infatti la guerra civile si concluse a favore dell’imperatore, che scacciò nell’Hokkaidō gli ultimi fedeli di Tokugawa Yoshinobu, i quali fondarono l’unica repubblica della storia nipponica: la Repubblica di Ezo.
In questo anno e mezzo di disordine e scompiglio politico-istituzionale, Nakazawa combatté prevalentemente nella città di Edo (odierna Tokyo), sede della corte shogunale. Un episodio in particolare – riportato da molteplici fonti e perciò attendibile – rese famosa la spadaccina. Sembra che la donna guerriera, circondata da non meno di 10 imperialisti, riuscì a tenere testa ad ognuno di loro con la sua katana e metterli in fuga subito dopo aver rotto l’accerchiamento.
Nakazawa sopravvisse al cambio di regime, vedendo con i suoi occhi l’inizio di una nuova era, quella Meiji, alla quale successe la democrazia Taishō. Rimase nubile per tutta la vita. Leggenda vuole che Nakazawa, per sua stessa ammissione, avrebbe sposato solo chi fosse stato in grado di batterla in duello. Nessuno mai riuscì nell’impresa. Morì il 12 ottobre 1927 nella terra che le aveva dato i natali e dove oggi si trova la sua tomba, meta di frequenti pellegrinaggi.
Incisa sulla sua colonna lapidale, una frase descrive alla perfezione l’ambivalenza di quella atipica donna guerriera vissuta nel Giappone del XIX e del XX secolo: “Quando Koto si veste da uomo, molte donne si innamorano di lei. Quando Koto si veste da donna, molti uomini si innamorano di lei”.