Sono pronto a scommettere che nessuno di voi ha mai sentito pronunciare il suo nome. Già, perché sebbene si tratti del primo abolizionista politicamente impegnato della storia moderna, anticipatore dei grandi illuministi settecenteschi nonché dei movimenti ad essi teoricamente affiliati, di Benjamin Lay non vi è mai traccia alcuna, né sui libri di scuola, tantomeno nel dibattito generalista. Non sarò di certo io a risollevare la pubblica nomea del povero Lay, eppure sono qui per presentarvi la sua storia, meritevole di un accenno, poiché stravagante, movimentatissima e, per tantissime ragioni, controversa. Come faceva a non esserlo d’altronde, problematico intendo, uno che dagli stessi membri della sua cerchia veniva soprannominato il “profeta incontenibile”.

Incontenibile Benjamin Lay lo fu davvero. Quacchero figlio di quaccheri, il piccolo Benjamin nacque il 26 gennaio 1682 nell’Essex, in Inghilterra. Dopo un veloce e sterile apprendistato come guantaio, decise di fuggire dalla povera campagna per raggiungere la capitale del regno, di lì a qualche decennio del mondo: Londra. Nella City Lay trovò lavoro come marinaio, dunque partì per il mare, finendo nel 1718 nelle Barbados. Questa fu una tappa fondamentale per la genesi del suo pensiero. Fu lì che l’uomo di mare si fece critico impegnato dello schiavismo in ogni sua forma e sostanza.
Perché proprio nelle Barbados? All’epoca l’isola era un dominio britannico, in cui a detenere de facto il potere economico, commerciale e politico erano i grandi latifondisti. Gente che per profitto aveva causato l’estinzione della popolazione autoctona, fino al XVII secolo unica forza lavoro a basso costo presente sull’isola, subito rimpiazzandola con gli schiavi africani. Le piantagioni disseminate per tutto il Governatorato di Barbados brulicavano di schiavi neri sfruttati fino al midollo in modo disumano. Lay osservò e fece di quell’esperienza la base fondante dei suoi ideali abolizionisti.

I 13 anni passati sull’isola caraibica furono il preludio alla nuova vita americana di Benjamin Lay. Nel 1731 mosse alla volta della Pennsylvania, stabilendosi prima a Philadelphia, poi ad Abington. Qui ebbe inizio il suo accesissimo attivismo sociale e politico. Assunse i connotati del predicatore radicale, opponendosi in primo luogo alla schiavitù, ma spaziò anche su altre tematiche.
Dopo aver ucciso una marmotta nel giardino della sua casa, provò rimorso e divenne vegetariano. Si fosse fermato lì, nessuno avrebbe storto il naso. Invece Lay andò oltre: dopo aver letto le opere di Thomas Tryon (uno dei primi a sostenere i diritti degli animali e i benefici del vegetarianismo), cominciò a raccomandare a chiunque lo interpellasse la strada della pace, della misericordia verso gli animali, intoccabili in quanto creature di Dio. Sì, il profeta incontenibile sviluppò presto una sorta di visione panteistica del mondo, per la quale si oppose fortemente a qualunque pena prevedesse la morte del condannato.

Come immediata conseguenza della svolta radicale, smise di vestire con indumenti provenienti da animali, preferendo il lino. Benjamin Lay non era bravo solo a parole, ma anche con gli scritti se la cavava eccome. La sua più importante opera, intitolata All Slave-Keepers That Keep the Innocent in Bondage: Apostates (in italiano “Condanna alla Schiavitù”), fu pioneristica, perché è da ritenersi il primo saggio scritto e pubblicato nelle Tredici Colonie a trattare approfonditamente e lucidamente il tema dell’abolizionismo.
Il fatto è che Lay alternava momenti di brillante consapevolezza a frangenti in cui era semplice scambiarlo per un dissennato. Passò intere giornate della sua vita ad urlare contro le persone, giudicando quasi tutti indegni del mondo, partecipi di una società degradata, ipocrita, se non addirittura demoniaca. Morta la moglie, si isolò ancor di più dalla comunità (persino dagli altri quaccheri, restii nel dargli corda), andando a vivere dentro una grotta. Una caverna di tutto rispetto, in cui stivò la bellezza di duecento testi di teologia, letteratura e filosofia.

Oltre all’infinità di opuscoli pubblicati, Benjamin Lay si fece un nome per le sue originali modalità di protesta. Gli abitanti di Abington lo vedevano passeggiare in pieno inverno con una scarpa sì e una no. Alla domanda sul perché camminasse senza uno stivale, poggiando il piede sulla neve, il predicatore rispondeva che solo così si sarebbe compreso il livello di disagio vissuto da centinaia di migliaia di schiavi, così miseri da non potersi neppure permettere un discreto paio di calzature. In un’altra occasione arrivò a rapire i figli di un noto schiavista della provincia per poi restituirli dopo qualche giorno. Il motivo? Mostrare alla comunità il senso della privazione sperimentato dagli africani separati con la forza dai loro parenti perché schiavizzati.
Lay si fece parecchi nemici, o comunque accumulò un po’ di antipatia, ma qualcuno invece lo prese sul serio, credendo in lui e nella sua volontà riformatrice. Nota era la sua amicizia con Benjamin Franklin, quest’ultimo bacchettato dallo stesso Lay in più di un’occasione per aver posseduto schiavi. In particolare il pensatore radicale si scagliò contro il testamento del filosofo politico americano. Si chiedeva infatti con quale diritto un uomo come Benjamin Franklin potesse promettere la libertà ai suoi servi dopo la sua morte.

Nel 1759 il profeta incontenibile spirò, ma la sua eredità influenzò e non poco il futuro movimento abolizionista. È indiscutibile, la sua insistenza nel criticare apertamente anche i membri della propria fede lo isolò in parte, ma allo stesso tempo contribuì a mantenere viva la discussione sull’ingiustizia della schiavitù. I metodi estremi a qualcosa servirono. Tra Sette e Ottocento era comune per i quaccheri abolizionisti americani tenere in casa il ritratto di Benjamin Lay. A testimonianza di un lascito duraturo nel tempo e soprattutto vivo nelle idee.