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Marco Gavio Apicio, “Sì, chef” ai tempi degli antichi Romani

Chissà se all’epoca degli antichi Romani c’era un modo per dire “Sì, chef”, come ci hanno insegnato i vari programmi televisivi dedicati alla cucina e la serie TV The Bear? La domanda à lecita perché Marco Gavio Apicio è stato un famoso cuoco e gastronomo romano. Vissuto fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., a lui si devono le nostre conoscenze in merito alla cucina e gastronomia dell’antica Roma. E questo grazie anche al suo De re coquinaria.

Marco Gavio Apicio, il re della cucina romana

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Crediti foto: @Public domain, via Wikimedia Commons

Della famiglia di Marco Gavio Apicio non si sa nulla. Si ipotizza, però, che il nome Apicio fosse un soprannome dato a chi si dedicava all’arte culinaria. Questo perché, a inizio del I secolo a.C. visse un altro Apicio, come il nostro amante del lusso e della buona cucina. E un terzo Apicio visse nel II secolo d.C.

Anche della storia della sua vita sappiamo poco, se non tramite aneddoti slegati fra di loro. Secondo Marziale, Apicio avrebbe cenato a casa di Mecenate, cena seguita da intrattenimenti a luci rosse.

Plinio il Vecchio (lo stesso che ha descritto l’eruzione del Vesuvio visto che con la flotta romana stazionava di fronte a Pompei), invece, ci fa sapere che Apicio era uno stretto amico della famiglia imperiale. Conosceva benissimo Tiberio ed era in stretti rapporti con Druso minore, il figlio dell’imperatore. Plinio racconta che Apicio una volte convinse Druso a non mangiare le cymae, cioè le cime di cavolo, in quanto cibo troppo plebeo.

Una volta, invece, Tiberio vide una grande triglia in un mercato e fece una scommessa: chi l’avrebbe comprata? Apicio o Publio Ottavio? Così partì la contesa, ma fu Ottavio a ottenere il pesce.

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Crediti foto: @Marco Gavio Apicio, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Nonostante la sua fama di gourmet, Apicio non aveva una buona nomea in quanto era il simbolo negativo di chi cercava continuamente il lusso e l’ostentazione. Pure Plinio il Vecchio, ammettendone l’ingegno, non condivideva con lui l’eccessiva eleganza e il suo ostentare superiorità (pare che disprezzasse carote e cavoli in quanto troppo popolani).

Persino della morte di Apicio sappiamo poco. L’unico aneddoto trasmesso in tal senso parla di un suicidio quando notò che il suo “misero” patrimonio di 10 milioni di sesterzi non gli permetteva più di mantenere lo stile di vita precedente. Ovviamente tale aneddoto ha un neanche tanto velato alone satirico.

Apicio è diventato famoso anche per il De re coquinaria, una grande raccolta di ricette e pratiche culinarie dell’antica Roma. In realtà il volume risale al III o IV secolo e si tratta di una raccolta di ricette a nome di Apicio. Si tratta di dieci libri e si pensa che sia il rimaneggiamento di un precedente ricettario di Marco Gavio. Qualcuno, invece, sostiene he in realtà l’autore del libro fosse un tale Celio, ma probabilmente tale nome venne aggiunto in epoca successiva.

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Crediti foto: @Carole Raddato from FRANKFURT, Germany, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

I dieci volumi appaiono come una serie di appunti alquanto disordinati, ma è la fonte principale in merito alla cucina dell’antica Roma. Dal libro si evince che:

  • a Roma arrivavano prodotti provenienti da tutto l’impero;
  • le classi più elevate organizzavano solitamente banchetti opulenti per stupire gli ospiti, preparando carni, pesce e verdure insaporite con salse sia dolci che salate;
  • la cucina dell’antica Roma si basava soprattutto sull’uso di salse e condimenti. Già all’epoca si usavano il garum, una salsa a base di pesce (nel libro di Apicio ne sono presnti venti ricette diverse), il defrutum, un mosto cotto, il miele e spezie;