C’era già capitato di parlare della splendida popolazione degli Yanomami, abitanti della terra compresa tra il bacino del fiume Orinoco e quello del Rio delle Amazzoni. Si tratta di un popolo con una propria lingua, lo yanomamö appunto e di religione animista. Ma proprio circa quest’ultimo aspetto c’è un particolare, che a noi sembra molto macabro, che vi racconteremo oggi. Parleremo dell’usanza di tale popolo di mangiare le ceneri dei propri cari defunti.
Necessario è introdurre, per capire al meglio l’usanza in questione, il concetto di animismo. L’antropologia utilizza tale termine per indicare un insieme molto vasto e composito di credenze religiose. All’interno di queste, più che credere in divinità trascendenti e immortali, si attribuiscono facoltà divine o soprannaturali ad oggetti, eventi o luoghi. Ovvero si considerano appunto dotati di anima.
Tornando agli Yanomami, questi vivono di solito in piccoli villaggi che variano le loro dimensioni da 50 fino a 400 abitanti. Tutto quanto il villaggio vive dunque sotto un tetto unico di forma ovale, detto Shabono, che rende la vita comune un elemento imprescindibile e fondante di tale civiltà.
Possiamo bene capire ora perché la morte sia al contrario vissuta come un momento di forte rottura a livello sociale. A livello religioso invece, importantissimo diventa salvare l’anima del defunto, secondo quanto detto in precedenza. Arriviamo dunque al macabro rito, o almeno tale sembra vedendolo dall’esterno. Lungi dall’autore voler dare qualsiasi giudizio morale, invita anche voi a vedere tale fenomeno tramite quel concetto fondamentale in antropologia che è l’osservazione quanto più neutra e meno influenzata possibile dei fenomeni osservati.
Dicevamo allora del rito funebre: si pongono i defunti su dei letti di legno intrecciati e si appicca in seguito il fuoco. Dei cari non resta dunque che qualche cumulo di cenere, che noi conserveremmo scrupolosamente o spargeremmo in qualche posto ameno. Gli Yanomami invece le mescolano con polpa di banana e successivamente le mangiano comunitariamente con parenti e amici del defunto.
Per tritare le ossa bruciate si utilizza un albero particolare e parti di queste vengono disperse nei fiumi. Si recide così qualsiasi legame tra il morto e questo mondo, in modo da liberare la sua anima in seguito con il pasto comunitario. Come si vede c’è una forte ritualizzazione che rende affascinante questo rito nonostante sia totalmente avulso dai nostri criteri sociali, religiosi e culturali in genere.