Finirà mai di riservare sorprese quella lontana ed affascinante terra chiamata Perù? La risposta penso sia nel cuore di chiunque abbia approcciato almeno una volta la tradizionale cultura di questo paese antico, patria di un popolo più sfaccettato di quanto lasci intravedere, casa di civiltà differenti, talvolta antitetiche nella concezione del mondo e dell’universo circostante. Ed è proprio una di queste civilizzazioni a prendersi la scena quest’oggi, i moche, simbolicamente rappresentati dal sito di Huaca Rajada, uno degli agglomerati fondanti per il suddetto popolo, di cui abbiamo notizie solo nell’arco di settecento anni, dal 100 a.C. agli ultimi decenni del settimo secolo d.C.
Situata nel Perù settentrionale, l’area di Huaca Rajada è immersa nella florida valle di Lambayeque e si distingue per delle spiccate strutture piramidali. Tombe reali, come suggeriscono le inscrizioni su quella del Señor de Sipán, la piramide più nota e meglio conservata nonostante l’agire disgregante dell’uomo e, solo in secondo appello, del tempo. Sipán è un altro nome per indicare la circoscrizione archeologica di Huaca Rajada (huaca in lingua quechua sta a significare tutto ciò che è sacro, mentre rajada significa “spaccato”, quindi una traduzione approssimativa potrebbe essere “piramide spaccata”). Delle già citate strutture piramidali se ne contano tre, due più grandi in proporzione alla terza, meno appariscente ma con più storie da raccontarci.
Le prime due in realtà corrispondono ad una piramide tronca e ad una piattaforma, mentre la terza a sua volta conserva una forma piramidale. Il distinguo fin qui proposto è anche di carattere temporale. Due delle strutture conoscono la propria edificazione intorno ai primi anni del IV secolo d.C. Il terzo edificio cultuale viene eretto da un popolo differente da quello moche intorno all’VIII secolo d.C. Il loro patrimonio artistico ha subito nel tempo evidenti manomissioni, con i soliti spagnoli autori di indicibili saccheggi e insensata devastazione. Ma l’interferenza di tombaroli e razziatori è proseguita anche a seguito della caduta dell’Impero Inca. Anche i locali, consapevoli del valore monetario (meno di quello culturale/artistico; altri tempi), si dedicarono al saccheggio.
Fu l’archeologo peruviano Walter Alva a (ri)scoprire le tombe reali di Huaca Rajada tra il 1987 e il 1990. Già allora si comprese l’importanza scientifico-archeologica del ritrovamento, perché per la prima volta si ebbe modo di interfacciarsi con una civiltà, quella moche, di cui se ne conosceva l’esistenza solo per via orale. I manufatti e in definitiva le testimonianze materiali, permettono ancora oggi una miglior comprensione della cultura che fu. Vero, non che si sia potuto approfondire di molto il ruolo che ogni persona deteneva all’interno del contesto sociale, ma qualcosa è venuto a galla e non bisogna minimizzarlo.
Ad esempio, sappiamo come il complesso di Huaca Rajada non fosse una necropoli ma un centro nevralgico politico-religioso. Inoltre si ha contezza su alcune prestazioni lavorative fornite dai sudditi al sovrano. Di fatto gli uomini liberi lavoravano alla costruzione della tomba del re e nel farlo soddisfacevano una richiesta tributaria che altrimenti si sarebbe dovuta assolvere in altro modo. Le maschere rituali e le tavolette figurative moche offrono anche uno spaccato parziale della ritualità sacrificale. In nome di una o più divinità (forse anche per compiacere il sovrano) ci si offriva in sacrificio presso uno dei templi preposti. Il sacrificio avveniva per decapitazione o svisceramento e serviva a rafforzare il legame della comunità con la sfera divina.
Sui moche e su Sipán si potrebbe dire molto altro. Come non citare la perfezione della lavorazione metallurgica? Maschere, ciondoli, bracciali in oro dimostrano una capacità fuori dal comune tipica delle maestranze artigiane. Qualcosa è giunto fino a noi, ma molto è andato perduto e continua ad essere vittima di saccheggi saltuari. Proteggere e preservare è compito nostro, in quanto specie umana desiderosa di salvaguardare un passato delicatissimo, quasi perduto, quasi.