Perdersi tra le infinite attrazioni di Londra non è affatto complicato. Nell’elenco non può certo mancare, ad esempio, il Museo delle Cere Madame Tussauds. Al nome dovremmo pur collegare un personaggio storico, no? Ed eccoci qui, intenti ad assolvere il compito. Madame Tussaud, nata Anna Maria (Marie) Grosholtz nel 1761, fu senz’altro una donna di spicco, prima, durante e dopo il travolgente vento rivoluzionario che colpì la Francia sul tramontare del secolo diciottesimo. La sua famiglia, di Strasburgo, vantava una tradizione di giustizieri incappucciati di tutto rispetto. Pur non avendo direttamente a che fare con la scure, Marie lucrò sulla dipartita altrui. A suo modo, sia chiaro.
Fin da piccola, Marie vide il professor Philippe Curtius (di cui sua madre era la governante) come un mentore e, non in seconda posizione per importanza, come un secondo padre. Il professore e medico svizzero era un abile modellatore di cere e la giovine ragazza apprese in fretta il mestiere, un po’ per intraprendenza, un po’ per genuina curiosità. Neppure diciottenne, Marie aveva già realizzato maschere di cera incredibilmente affini ai volti di Rousseau, Voltaire, Benjamin Franklin e così via. Il talento non le mancava perciò la ceroplastica, considerata una sorta di arte minore dalla società del tempo, divenne la sua ragion d’essere.
La particolarità appresa da Curtius era originale, insolita anche per un settore di nicchia come quello della cera. Mentre nel resto d’Europa si creavano semplicemente piccole maschere, al massimo busti, Madame Tussaud (per ora mademoiselle) plasmava delle vere e proprie sculture a grandezza naturale. Nella Parigi di Luigi XVI, le mostre sulle opere in cera andavano molto forte, attirando un gran numero di visitatori e espliciti estimatori. Poi, nel luglio 1789, scoppiò il caos. Addirittura i giacobini l’accusarono di simpatie monarchiche (visto il trascorso a Versailles); l’accusa condusse all’incarcerazione tra le mura pietrose della Bastiglia. Non si sa bene perché, i rivoluzionari le risparmiarono la ghigliottina.
Laboriosa per natura, Marie seppe reinventarsi. Benché sfuggì alla lama della ghigliottina, di fronte al patibolo la donna vi rimase più volte, intenta a raccogliere le teste mozzate e stampare quelle espressioni “così vive, così fulgide” nella cera. Madame Tussaud trasse profitto dal Periodo del Terrore. Tante erano le decapitazioni, maggiore era il numero di maschere funerarie. Ironia della sorte: il volto tumefatto di Robespierre fu una delle effigi più note lavorate da Marie, ma non mancarono altri elementi di qualità, vedasi Marat e Maria Antonietta. Gli anni trascorsero fino all’avvento del nuovo secolo. La signora di Strasburgo si sposò con François Tussaud, amante della bottiglia prima ancora che della moglie. Ebbe due figli e al contempo notò un lento declino della sua attività (non c’erano più le teste di un tempo…).
Per la seconda volta nella sua esistenza, Madame Tussaud diede una sensibile svolta alla vita. Nel 1802 Partì per la Gran Bretagna, Londra l’aspettava. Trovò qualche significativo appoggio presso alcuni ex colleghi del suo mentore (Curtius era venuto a mancare nel 1794). Girovagò tra Inghilterra, Scozia e Irlanda promuovendo le sue creazioni, sempre più apprezzate oltremanica. Finalmente nel 1935 aprì la galleria di Baker Street, Londra. Ed è quest’ultima esperienza a definire con millimetrica esattezza il “know-how” di Madame Tussaud. L’anziana donna sapeva cosa desiderasse il pubblico: acuto realismo, impressione, impatto. Gli allestimenti rispondevano precisamente a questi parametri. Il Duca di Wellington ne riconobbe a più riprese la qualità, essendo uno dei visitatori più accaniti.
Se un personaggio era noto all’epoca – cascasse il mondo – una sua raffigurazione fedele si trovava a Baker Street. Da quel nucleo si gettarono le basi per il futuro e odierno museo delle cere londinese. Quando si spense, all’età di 88 anni, nel 1850, il resoconto risultava chiaro a tutti: Madame Tussaud visse pienamente, con tenacia e risolutezza, toccando con mano momenti delicatissimi e altri più felici, sicuramente soddisfacenti. Il fatto che l’esclusivo frutto del suo lavoro sia ancora oggi così apprezzato vorrà pur dire qualcosa, insomma.