Napoleone, dialogando con Madame de Condorcet (vedova del ben noto filosofo Condorcet, il quale una volta dietro le sbarre preferì il suicidio alla ghigliottina), pronunciò le seguenti parole: “Signora non mi piace che le donne si occupino di politica”. La donna, che di certo sapeva come destreggiarsi tra frizzante retorica e taglienti parole, ribadì: “Avete ragione, generale, ma in un paese dove si taglia la testa alle donne, è naturale che esse desiderino conoscerne il motivo” . Il riferimento a Maria Antonietta sarà chiaro ai più. Bene, fu la scrittrice, nonché pensatrice rivoluzionaria (anche se non nel senso che intendiamo noi) Madame de Staël a riportare il memorabile scambio di battute. Chi era esattamente questa donna? Perché avrebbe dovuto dire una simile cosa, esponendosi ai mille pericoli insiti in una società fortemente conservatrice e ostinatamente maschilista?
Il nome è tutto un programma. Nata nel 1766 a Parigi come Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Staël-Holstein, nota alla società col più semplice ed impattante “Madame de Staël”. La donna che un domani darà vita ad uno dei salotti intellettuali più esclusivi d’Europa crebbe in un contesto certamente agiato, tuttavia carico di stimoli. Leggendo attentamente il nome, chi ha buona memoria noterà una certa assonanza con un altro personaggio storico che della Rivoluzione Francese sarà indirettamente un fattore scatenante, uno dei tanti. Esatto, la baronessa era la figlia di Jacques Necker, ministro delle finanze scelto da Luigi XVI per rimpolpare le disastrate casse reali e subito destituito per delle riforme considerate liberali e poco decisive.
Eppure questo non vuole essere un pezzo biografico su Madame de Staël, quanto più un’analisi del suo pensiero politico, sociale e filosofico. In particolare risulta interessante spulciare tra i carteggi dell’epoca per evincere il parere che molti intellettuali di spicco (ma anche personaggi pubblici, uno fra tutti il già citato Napoleone) avevano della baronessa. Madame de Staël dava fastidio. Recava disturbo all’alta classe francese pre-1789 e post avvento napoleonico. La sua autonomia di pensiero, il saper mettere nero su bianco pensieri vividi, magari anche non condivisi o addirittura osteggiati; il fatto di essere anche lei una donna che faceva politica. Tutti elementi che la invisero ai più strenui sostenitori dell’antico regime, non meno ai giacobini di poche parole e tanta ghigliottina, per di più a Napoleone (dopo un primo periodo di stima reciproca).
Ella non predicava, esponeva con fermezza. Madame de Staël era convinta del connotato progressivo in seno alla Rivoluzione. Una cosa che doveva procedere per gradi, e che soprattutto non doveva tramutarsi in quello che apparentemente aveva cancellato: la dittatura di uno o di pochi per sottomettere tanti. Ecco perché durante gli anni del Terrore la baronessa de Staël cercò e trovò l’esilio volontario. E a veder l’esilio come un viaggio un po’ forzato, un po’ voluto, si percepisce una delle tante anime di questa formidabile donna che voleva far politica, ma anche scrivere di avventure. Madame de Staël divenne nome d’arte con il quale la baronessa firmava i libri che scriveva viaggiando. Noto è il romanzo Corinna o l’italia, ispirato dal soggiorno italiano e pubblicato nel 1807.
Dall’Italia passiamo alla Germania, altro paese caro all’intellettuale parigina e sempre al centro delle sue riflessioni. Perché? Ci si potrebbe giustamente chiedere. Perché la scrittrice (e questo accadde in pieno periodo napoleonico; dettaglio non da poco), fautrice della cultura germanica, era altresì convinta di una necessaria unificazione amministrativa, politica e militare della nazione tedesca. Lo si desume facilmente nel testo del 1810 intitolato De l’Allemagne, immediatamente messo all’indice da Napoleone per la sua anima “controrivoluzionaria, sovversiva e destabilizzante”.
Ovviamente lo scritto di Madame de Staël inquadrava tutta la questione contestualizzandola attraverso delle sottotrame più letterarie che politiche. Ad esempio contrapponeva il popolo francese a quello tedesco, elogiando quest’ultimo perché maggiormente inspirato. Da cosa? Beh, dall’intelletto, in quanto i tedeschi, nell’ottica della scrittrice, erano l’anello di congiunzione tra l’Illuminismo e il Romanticismo. La generalizzazione è barbara, me ne rendo conto. Ma fu per questi motivi che 10.000 copie del libro andarono in fiamme a seguito del decreto imperiale francese.
Le consolidate amicizie con Goethe, Schiller, Friederike Brun, i fratelli Friedrich e Wilhelm Schlegel (precettore dei suoi figli), Johann Gottlieb Fichte volevano pur significare qualcosa. Si potrebbe dire ancora tanto sulla baronessa, ad esempio il polverone che sollevò il romanzo Delphine uscito nel 1802. Si potrebbe approfondire il pensiero femminista o protofemminista che le viene (chissà fino a che punto in modo legittimo…) affibbiato odiernamente. Forse questi saranno spunti per una prossima digressione, quel che resta è sotto gli occhi di tutti. Una donna allora poteva fare politica, sì, ma poteva fare anche molto altro, risultando “scomoda” ma maledettamente incisiva. In buona pace di molti.