Una cava. Esatto, Machu Picchu, una delle meraviglie del mondo moderno, sito Inca per antonomasia nonché attrazione tra le più folgoranti che il nostro mondo possa offrire, per non farsi mancare nulla anche patrimonio UNESCO, era un sito d’estrazione dal quale attingere materiale lapideo per la costruzione di terrazzamenti nella parte bassa e nella parte alta dell’agglomerato urbano. Sembra paradossale che così tanta bellezza possa nascere da un intento così umile e profittatore.
Palcoscenico cardine di questa notizia di stampo archeologico è la blasonata rivista Nature. L’antichissimo e prestigioso settimanale di divulgazione scientifica ha pubblicato i risultati di una ricerca multidisciplinare a conduzione italo-peruviana-polacca. Dal 2017 la missione “Itaca” del Cnr (supportata dall’Università di Varsavia e coadiuvata da un team ministeriale di donne e uomini sul posto) raccoglie e incrocia dati di svariato tipo, da quelli di scavo fino a quelli satellitari, passando per le supervisioni aeree e le analisi geomagnetiche.
L’incrocio di queste informazioni ha permesso alla missione “Itaca” di esporre alcune conclusioni scientifiche di rilievo internazionale. Sulla città Inca nata nel XV secolo, prende parola il direttore della missione Cnr, ovvero Nicola Masini: “quando non si può scavare è bene studiare il materiale d’archivio e integrare le informazioni con altre che possiamo oggi ricavare utilizzando le moderne tecnologie di indagine non invasiva. È quello che abbiamo fatto noi a Machu Picchu.”
Prosegue ancora il ricercatore: “Ci interessava sapere che cosa nascondesse il sottosuolo della città. Allargando l’areale informativo di un paio di saggi–scavo realizzati in passato con osservazioni ed elaborazioni multispettrali oltre a prospezioni geoelettriche, georadar e geomagnetiche abbiamo scoperto com’era Machu Picchu prima che diventasse tale. In origine il sito era un piccolo bacino idrografico. Era utilizzato come cava da cui estrarre materiale lapideo. Sarebbe servito a realizzare i primi terrazzamenti dei due settori urbani dell’Hurin, la parte bassa della città, e dell’Hanan, quella alta”
Nel centro dell’attenzione archeologica c’è anche la Plaza Principal, fulcro attorno al quale si sviluppa l’abbagliante architettura Inca. La piazza nasceva inizialmente come piccolo spazio aperto ribassato, salvo poi conoscere un generico allargamento, sopraelevandosi di qualche metro. Quest’ultima forma è quella che ancora oggi i turisti di tutto il mondo possono osservare, anzi, ammirare. L’articolo pubblicato su Nature sottolinea come i terrazzamenti del sito avessero la duplice funzione di drenaggio e compattamento. Il primo intento serviva a bloccare l’azione dell’acqua piovana, distruttiva come non mai in un territorio così scosceso. La seconda azione era già allora testimonianza di una tecnica architettonica e strutturale che definire raffinata è dire poco. Quattro secoli e rotti di abbandono e conseguente solidità non sono evidenze da poco.
Tuttavia si cade nell’errore nel pensare che la preoccupazione per il controllo dei flussi piovani fosse relativa alla sola Machu Picchu. Nella sottostante valle dell’Urubamba (anche nota come “valle sacra degli Incas”) lo stesso problema affliggeva altri piccole urbanità, le quali seppero adattarsi e affrontare la bega con altrettanto ingegno. Come diceva il vangelo secondo Giovanni: “in origine era… Una cava?“