Il problema è che la maggior parte di noi, quando pensa ai gladiatori romani, ricorda quelli visti in film e serie TV. Basti pensare a Il Gladiatore: in queste pellicole i gladiatori romani combattevano nell’arena fino alla morte. Ma era davvero così? Beh, i ricercatori hanno smentito tale destino. O meglio: a volte lo facevano, ma non sempre.
Come combattevano i gladiatori romani?
Alfonso Manas, ricercatore dell’Università di Berkeley, in California, ha ampiamente studiato i gladiatori e la loro vita. Come spiegato a Live Science, le prove indicano che il tasso di mortalità di questi combattenti variava parecchio nel corso del tempo.
Pensiamo alle pitture tombali presenti a Paestum, qui da noi in Italia e risalenti al IV secolo a.C. Le pitture mostrano i gladiatori con “ferite terribili”, fra cui anche lance conficcate nella testa degli avversari. Il che suggerisce che molti dei primi combattimenti fra gladiatori erano assai cruenti, concludendosi spesso con la morte di uno o entrambi i contendenti.
Tuttavia durante il regno dell’imperatore Augusto (dal 30 a.C. al 14 d.C.) e di Tiberio (dal 14 d.C. al 37 d.C.), ecco che le cose cambiarono. Intorno al 27 a.C., infatti, Augusto iniziò una riforma dei giochi dei gladiatori che andò a ridurre significativamente il tasso di mortalità.
Dipinti presenti sui muri di Pompei testimoniano come un combattimento su cinque si concludesse con la morte dello sconfitto. Secondo Manas tale tasso di mortalità rimase a questi livelli durante tutto il II secolo d.C. Proprio a causa del calo delle morti nell’arene, nonostante molti gladiatori fossero effettivamente degli schiavi, ecco che ci furono diversi individui liveri che si offrirono volontari per diventare gladiatori.
A dire il vero non si sa quali regole e pratiche cambiarono dopo il 27 a.C. Le prove, tuttavia, suggeriscono alcuni cambiamenti importanti:
- un gladiatore poteva ora arrendersi facendo cadere a terra lo scudo e allungando l’indice
- inserita la figura del summa rudis, una sorta di arbitro che non solo aveva il compito di far rispettare le regole, ma che aveva anche il poter di interrompere il combattimento se un gladiatore era sul punto di essere ucciso
- se l’organizzatore degli scontri lo permetteva, allo sconfitto veniva concesso di lasciare l’arena senza subire ulteriori danni
- se l’organizzatore degli scontri insisteva affinché lo sconfitto venisse ucciso, ecco che avrebbe dovuto pagare una grossa somma alla persona che aveva fornito i gladiatori (ci sono prove che se il gladiatore veniva ferito o ucciso, l’organizzatore avrebbe dovuto pagare al proprietario del gladiatore un indennizzo anche di 50 volte il costo del contratto originale)
Purtroppo il tasso di mortalità tornò ad aumentare nel corso del II secolo d.C. Secondo Manas questo dipese dal fatto che le persone volevano vedere combattimenti sempre più cruenti, tanto che allo sconfitto non venne più permesso chiedere clemenza alla fine dello scontro. Il che fece sì che un combattimento su due in questo periodo terminasse con la morte del gladiatore.
Tale tasso di mortalità andò avanti sino al IV secolo. Nel V secolo i combattimenti diminuirono e il numero di morti diminuì drasticamente.
C’è anche da considerare un altro aspetto della vicenda. Non tutti coloro che entravano nell’arena erano combattenti addestrati. Alcuni erano prigionieri che non sapevano nulla di combattimento e che erano condannati a morte (dovevano affrontare belve selvatiche che, di solito, finivano con lo sbranarli). Questa tipologia di incontri solitamente avveniva prima del combattimento di gladiatori addestrati veri e propri.