Le autorità di Adelaide, in Australia, il primo dicembre del 1948 trovano il corpo esamine di un uomo poco più che quarantenne, alto un metro e ottanta circa, ben vestito, ma senza etichette addosso. Il ritrovamento avviene nella spiaggia di Somerton, sobborgo della precedentemente citata Adelaide. Tanti sono i dettagli che non permettono una ricostruzione logica dei fatti. L’uomo di Somerton è mistero fin da subito.
Il caso, conosciuto anche come mistero di Tamam Shud per via di un pezzo di carta riportante tali parole ritrovato nella tasca dell’uomo, diviene immediatamente di dominio pubblico ed internazionale. Tamam Shud ha un significato ben preciso, il che rinvia al persiano: la traduzione è “concluso” o “finito”. L’autopsia condotta dai medici australiani è perentoria: l’uomo era in ottima salute prima del decesso, ma alcuni organi sono di dimensioni anomale o comunque compromessi in modo evidente. L’ipotesi dell’avvelenamento sarebbe papabile, peccato che nel corpo non vi sia traccia di sostanze tossiche.
Tornando all’analisi dell’abbigliamento, gli investigatori affermano il seguente dato di fatto: qualcuno ha poggiato delicatamente il corpo sulla sabbia, in quanto i vestiti non sono intaccati da questa. Si fanno diversi nomi, tutti smentiti da riconoscimenti vari. Un uomo, volutamente anonimo, aiuta la polizia a rintracciare il volume da cui proviene il pezzo di carta. Si tratta di un rarissimo libro di poesie persiane. L’anonimo ritrova il testo 15 giorni prima dell’inizio del caso, nella sua auto chiusa a chiave. Oltre al libro c’è un altro pezzo di carta con scritto un numero di telefono australiano e un codice di 5 righe da decifrare. Wow.
I punti di domanda sono tanti e continuano ad esserlo anche dopo l’importante rivelazione del gennaio 1949. Nella stazione di Adelaide compare una valigia, con indumenti compatibili con il defunto; tutti senza etichetta, tutti tranne la cravatta che riporta “T. Kean“. Nel frattempo gli agenti si concentrano sul numero di telefono a disposizione, esso è di un’infermiera, Jessica Thomson. E qui inizia la parte davvero strana della vicenda.
Thomson è collegata in qualche modo al libro di poesie persiane, sostiene come il volto dell’uomo di Somerton le sia familiare ma non abbastanza da indicarne l’identità. Dopo l’interrogatorio, la donna riesce ad ottenere il silenzio stampa. La sua volontà sarà fino al 2007, anno della morte, quella di non essere più coinvolta nel caso. E ciò accade. L’ex infermiera si porta i suoi segreti nella tomba. A lungo si sostiene come l’uomo di Somerton in realtà sia una spia sovietica finita chissà in quale giro losco.
Nel 2021 la salma è stata riesumata ed è iniziato una nuova indagine, forte di un indizio: attraverso test del DNA prelevato dai capelli, gli agenti australiani hanno rintracciato un lontanissimo parente, il quale però non ha mai riconosciuto l’uomo. I risultati delle ricerche condotte dalla polizia dal 2021 sono ancora oggi top secret. La sensazione è che si sappia qualcosa, ma nessuno dice niente. Dopo decenni, l’uomo di Somerton resta un arcano irrisolvibile.