Nel 1547 la rivolta dei Baroni è stata l’ultima manifestazione di vitalità politica della società napoletana. La causa scatenante non era altro che il tentativo di introdurre nella città il tribunale dell’Inquisizione da parte del viceré don Pedro de Toledo. Decisone che risulta comprensibile se si considera la particolare minaccia che attraversa l’Europa nel XVI secolo: la Riforma. Le motivazioni religiose lasciavano però spazio anche alle rivendicazioni politiche dei Baroni.
Nel Regno di Napoli, allora dominio spagnolo, iniziavano a diffondersi idee eterodosse riguardo le sacre scritture. In particolar modo erano i circoli ereticali legati ai predicatori Juan de Valdés e Bernardino Ochino ad avere il seguito maggiore. Il viceré di Napoli per evitare un’ulteriore diffusione di idee luterane aveva varato norme di controllo ideologico più stringenti, culminate con il bando di chiusura delle Accademie del 1547.
Le Accademie sorte nel XVI erano circoli per lo più composti dalla nobiltà di Seggio, perciò legati all’amministrazione del Regno di Napoli. Tra le più importanti vi era l’Accademia dei Sereni, i cui membri erano soliti riunirsi presso la dimora del principe di Salerno Ferrante Sanseverino. Questa Accademia per adattarsi al clima di censura instaurato, aveva creato un rigido regolamento interno che prevedeva il divieto di discutere delle sacre scritture. Non era stato sufficiente.
Il bando emanato dal Toledo aveva però un fine anche politico, quello di indebolire i suoi oppositori, come il principe di Salerno. Durante i lunghi anni di governo il viceré aveva infatti portato a termine il processo di disarmo della nobiltà e della municipalità cittadina. Il viceré aveva progressivamente allontanato i Baroni dai ruoli e dalle funzioni di governo e il bando non rappresentava che un tassello di questa linea politica.
Questo il clima che porta la nobiltà del Regno a insorgere contro il viceré l’11 maggio del 1547. Quel giorno era stato affisso alle porte del duomo il breve pontificio sull’introduzione dell’Inquisizione. I Baroni, convinti gli altri ceti e forze locali a seguirli, insorgevano imbracciando le armi e dando vita a degli scontri contro i funzionari spagnoli. Il viceré allora decideva di bombardare la città di Napoli al fine di fiaccare la rivolta. Dotatisi di propri rappresentanti e con il proseguire delle violenze, i baroni inviavano un’ambasciata presso la corte di Carlo V per accusare Toledo di corruzione, chiederne la deposizione e presentare il loro reintegro nelle funzioni di governo come necessario.
Il 9 agosto però giungeva la decisione di Carlo V che aveva posto fine alla rivolta dei Baroni: oltre a confermare Toledo nella carica di viceré, aveva però dovuto rassicurare la popolazione sulla volontà di non introdurre l’Inquisizione e conferiva alla città il titolo di fidelissima. La conferma di Toledo significava l’infrangersi di ogni speranza politica da parte della nobiltà, che ancora una volta era riuscita a scongiurare il pericolo maggiore: il tribunale dell’Inquisizione.