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Lucio Quinzio Cincinnato: la spada per l'aratro

Lucio Quinzio Cincinnato: la spada per l’aratro

Ci sono esseri umani passati alla storia per l’audacia, la ricchezza o il potere. Altri legano il loro nome agli annali per le imprese compiute, le scoperte scientifiche e le invenzioni. Infine c’è una ristretta cerchia di uomini che hanno garantito al loro nome di sopravvivere nei secoli, se non nei millenni, per pura, semplice e concisa modestia. Uno di questi si chiamava Lucius Quinctius Cincinnatus, ovvero Lucio Quinzio Cincinnato. La sua è una figura emblematica della storia romana, spesso citato come supremo esempio di virtù civica, leadership temporanea e dedizione al bene comune. La sua leggenda si intreccia con la storia reale di Roma, evidenziando valori che hanno ispirato generazioni di leader e cittadini.

Lucio Quinzio Cincinnato: la spada per l'aratro

Lucio Quinzio Cincinnato nacque addirittura prima della Res Publica (instaurata nel 509 a.C. e decaduta nel 27 a.C.), intorno al 520 a.C. Mi dispiace deludere le vostre aspettative sulle fonti, ma a parlarcene è quasi solo ed esclusivamente lui, il sempreverde Tito Livio. Egli racconta che Cincinnato faceva parte della Gens Quinctia e che aveva assunto la cittadinanza romana solo in seguito all’annientamento di Alba Longa, da cui proveniva la sua famiglia. Nonostante il suo essere “forestiero”, l’ascendenza di Cincinnato era nobile. Suo fratello, Tito Quinzio Barbato fu per tre volte console; stessa sorte toccò al nostro Lucio, una volta console e per ben due volte dittatore.

La prima elezione di Cincinnato al consolato risalì al 460 a.C. Nominato Consul Suffectus (supplente) per sostituire il defunto Publio Valerio Publicola, caduto durante la riconquista del Campidoglio a danno dei ribelli guidati da Appio Erdonio. Nonostante il prestigio della carica, Lucio Quinzio Cincinnato non navigava in acque tranquille, economicamente parlando. Tito Livio ci dice che possedesse non più di qualche agro di terra fuori Roma, oltre il Tevere. I cosiddetti Prata Quinctia erano gli unici terreni inalienabili alla famiglia. Il resto era andato tutto perso, ma perché?

Sembra che Cincinnato dovette vendere quasi tutto ciò che possedeva per pagare un’ingente cauzione, quella del figlio Cesone Quinzio. Quest’ultimo fu incriminato di un omicidio e per sfuggire alle conseguenze riparò in Etruria. Il patrizio romano invece rimase e pagò il risarcimento per il figlio, impoverendosi oltremodo. In quanto console e padre di Cesone, Cincinnato non risparmiò gli attacchi ai suoi oppositori (soprattutto i tribuni), cercando di difendere come possibile l’onore della Gens Quinctia.

Lucio Quinzio Cincinnato mappa guerra con Equi e Sabini

Sorse a quel punto una controversia fra plebe e patrizi, fra tribuni e consoli, da inserire nell’annosa questione degli equilibri politici, militari e sociali della prima Repubblica Romana. A noi interessa il fatto che dopo il consolato, Cincinnato se ne tornò nel podere di famiglia, preoccupato di non riuscire a sfamare moglie e figli. Non prima di aver avvisato il Senato e il popolo di Roma di un’imminente guerra con gli Equi e i Volsci.

In effetti il patrizio tornò ai suoi doveri rurali, ma nel 458 a.C. l’Urbe manifestò l’urgenza del suo ritorno. I due consoli per quell’anno – Lucio Minucio Esquilino Augurino e Gaio Nauzio Rutilo – si ritrovarono in difficoltà durante le operazioni belliche condotte rispettivamente contro Equi e Sabini. In un momento di tale crisi, in cui il potere politico e militare risultava vacante, Roma era solita affidarsi ad un Dictator, una figura super partes con pieni ed inderogabili poteri. Per unanime consenso si propose la carica a Lucio Quinzio Cincinnato. L’episodio noto ci è narrato sempre da Tito Livio.

Lucio Quinzio Cincinnato richiesta senatori

I senatori si recarono ai Prata Quinctia dove trovarono Cincinnato ad arare il terreno. Gli proposero di abbandonare le vesti da contadino e di indossare la toga, così da accettare la nomina a dittatore. Asciugatosi dal sudore, il patrizio accettò e seguì gli eminenti fino a Roma. Secondo Livio il tutto avvenne nel timore da parte della plebe di una deriva autoritaria:

«Accorse in massa anche la plebe, la quale però non era altrettanto lieta di vedere Quinzio, sia perché giudicava eccessiva l’autorità connessa alla dittatura sia perché, grazie a tale autorità, quell’uomo rappresentava per loro un’accresciuta minaccia. E quella notte a Roma, tutti vegliarono».

Il giorno dopo Cincinnato radunò l’esercito e accorse in aiuto di Lucio Minucio Esquilino Augurino, asserragliato nel suo accampamento. Infuocò la battaglia del Monte Algido, a seguito della quale gli Equi si ritirarono perché sconfitti, ma non annientati. Dopo lo scontro Lucio Quinzio Cincinnato distribuì equamente il bottino e punì chi si era mostrato incapace di risolvere la situazione. Ma ciò che più di tutto stupì fu la sua straordinaria integrità. La carica di dittatore durava formalmente sei mesi, nei quali Cincinnato avrebbe goduto di assoluto potere. Invece una volta sistemata la questione del bottino, nonché del trionfo da celebrare e dopo appena 16 giorni di dittatura, rinunciò alla carica e tornò dal suo amato aratro.

Lucio Quinzio Cincinnato espansionismo Roma V secolo a.C.

Per i Romani questo gesto simbolico divenne il paradigma della “dittatura temporanea” e della responsabilità civica. La pura dimostrazione che il potere non deve diventare una forma di dominio permanente. Il mito di Cincinnato assunse un valore morale e politico pressoché immenso. Rappresentò la virtù dell’umiltà, l’idea che il potere possa essere esercitato solo per il bene della collettività e che, una volta superata la crisi, debba essere restituito al popolo.

La figura di Cincinnato comunque non sparì dai radar della politica romana, anzi, arrivò addirittura ad assumere una seconda dittatura nel 439 a.C. alla veneranda età di 80 anni. Tuttavia la minaccia per Roma non proveniva dall’esterno, ma dall’interno. Si trattò di fermare le ambizioni egemoniche di Spurio Melio, che secondo la storiografia senatoriale mise a repentaglio la vita della Res Publica aspirando ad essere re. Fatto uccidere il provocatore, non senza le remore del popolo, Lucio Quinzio Cincinnato si ritirò a vita privata, morendo nel 430 a.C. circa.

Lucio Quinzio Cincinnato statua Parigi

Piccola nota a margine che il più delle volte viene omessa quando si racconta la storia di Lucio Quinzio Cincinnato. Seppur con meno dovizia di dettagli, sia Plinio il Vecchio che Aurelio Vittore narrano l’episodio della prima dittatura del patrizio. Entrambi riportano che quando i senatori arrivarono nella tenuta, si imbatterono in un Cincinnato completamente nudo. Il particolare non venne mai riportato né sui libri di storia, né sulle opere d’arte moderne che si riferiscono alla vicenda per una questione di pudore. Per i Romani tuttavia essere nudi e impegnati nel lavoro era sinonimo di massima austerità e discrezione. Per questo i senatori consigliarono all’ex console di indossare la toga, semplicemente per coprirsi e non per una pratica cerimoniale.